Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Governo contro il referendum di separazione
Vince Brugnaro, il verdetto alla Corte Costituzionale
Finisce davanti alla Corte Costituzionale il quinto referendum per la separazione tra Venezia e Mestre. Ce lo ha mandato il Consiglio dei Ministri, che ieri ha deliberato di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta contro la delibera della giunta regionale che la scorsa settimana ha indetto il referendum per il 30 settembre e approvato il quesito.
La notizia è arrivata come una valanga sui comitati, che proprio ieri mattina al Tar avevano esultato per l’annuncio di una sentenza entro fine luglio. Si era pure parlato di una rinuncia alla sospensiva da parte del Comune e della Città Metropolitana, in vista di una celere sentenza di merito. Ma la decisione del governo ha rimescolato le carte e ora c’è una seria ipoteca sul voto anche perché il governo ha chiesto la sospensiva. C’è lo zampino del sindaco Luigi Brugnaro dietro l’iniziativa del Cdm, lo dice il ricorso: il 16 marzo, con una nota, «ha ribadito la richiesta di valutare il conflitto di attribuzione». Tre giorni prima la giunta regionale aveva indetto la quinta consultazione. Le argomentazioni del Dipartimento Affari Regionali della Presidenza del Consiglio ricalcano quelle sostenute in questi anni da Comune e Città Metropolitana e affondano sul nodo cruciale: la guerra di potere. La Regione, dice il governo, «pretende» di intervenire sulle attribuzioni che lo Stato ha dato alla Città Metropolitana; eppure nel proprio Statuto, Palazzo Ferro Fini sancisce all’articolo 1 che «Venezia, Città Metropolitana, è il capoluogo del Veneto». Il Consiglio dei Ministri argomenta che la Città Metropolitana è un ente previsto dalla Costituzione, ricorda che le funzioni le sono attribuite dallo Stato ed è dunque pari grado rispetto alla Regione. Per le altre città restano validi la legge regionale 25 e l’articolo 133 della Costituzione; Venezia Città Metropolitana invece si può dividere solo ed esclusivamente per far sì che il sindaco, invece di essere di diritto quello del capoluogo, venga eletto da tutti i residenti della provincia e l’unica strada è quella indicata dalla legge Delrio: il referendum lo indice il consiglio comunale e votano tutti gli elettori della Città metropolitana. In questo caso, invece, il referendum è partito da un’iniziativa dei comitati, lo ha indetto la Regione e votano solo veneziani e mestrini. A Palazzo Balbi e Ferro Fini sono infatti convinti che Venezia si possa separare anche col solito iter, se l’intento non è il suffragio universale metropolitano. «Esiste un’oggettiva incertezza giuridica - commenta Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia. - In questo scenario giudico positivamente la decisione del Consiglio dei ministri». «L’impugnativa non sorprende nessuno – scuotono la testa i consiglieri regionali Pd Bruno Pigozzo e Stefano Fracasso - Solo la cocciutaggine di chi prende in giro cittadini, istituzioni, regole giuridiche poteva illudersi che ciò non avvenisse. Accuseranno il governo di calpestare la volontà popolare, ma il referendum va fatto quando ci sono le condizioni corrette».
In effetti i comitati non l’hanno presa bene: «Il governo dovrebbe restare in carica solo per gli affari correnti», esclama da Venezia Marco Sitran. «Siamo piccoli – concede da Mestre Stefano Chiaromanni - ma evidentemente non siamo quattro sfigati, come ha detto il sindaco, se per cercare di fermarci deve scendere in campo addirittura il governo».