Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Migranti a casa loro? Aiutiamoli di più e meglio»
I Medici con l’Africa: «Ora diamo 1 dollaro pro capite al mese» I ricercatori: «I progetti di salute eviteranno nuovi sbarchi»
«Qualcuno dice: aiutiamo i migranti a casa loro. Facciamolo davvero allora, di più e meglio». E’ il messaggio lanciato dal Cuamm Medici con l’Africa nel simposio di ieri a Padova.
Strumentalizzato dalla politica, usato per alimentare insicurezza e razzismo dagli estremisti, trasformato nell’alibi perfetto per giustificare mancanza di soldi e servizi da tanti sindaci. Si presta a più interpretazioni e manipolazioni il fenomeno migratorio, tornato a monopolizzare il dibattito ai tavoli del potere e ad alimentare la tensione sociale. Ma pochi hanno il coraggio di ficcare il naso alla radice del problema, per tentare sul serio di risolverlo. In prima linea c’è il Cuamm Medici con l’Africa, dal 1950 operativo nel continente nero con progetti di assistenza sanitaria a lungo termine, oggi attivi in Angola, Etiopia, Mozambico, Sierra Leone, Sud Sudan, Tanzania e Uganda. «Dobbiamo fare di più e meglio con l’Africa — ha ammonito il direttore don Dante Carraro ieri mattina al Bo, durante il convegno «Perché prendersi cura di mamme e bambini» —. Qualcuno dice: aiutiamoli a casa loro. Mi piacerebbe guardarlo negli occhi e rispondergli: allora facciamolo davvero, di più e meglio. A voler essere aiutati a casa loro sono proprio i giovani africani, che ogni giorno ci chiedono un sostegno per costruire il proprio futuro e non vedono l’ora di camminare con le loro gambe. Noi non intendiamo concedere un aiuto peloso, per lavarci la coscienza, nè essere assistenzialisti o colonizzatori: la nostra mission è costruire un mondo migliore, per loro e per noi. Bisogna trovare soluzioni concrete — ha esortato don Dante — in modo intelligente e generoso. E partire dalle mamme e dai bambini è giusto e doveroso. Dobbiamo essere coscienti del fatto che contrastare la mortalità infantile e materna significa incidere positivamente sul problema demografico e migratorio, che ancora spaventa».
Uno studio condotto dal professor Gianpiero Dalla Zuanna, docente di Demografia dell’Ateneo di Padova, e dalla sociologa Alessandra Minello sul data base di 46 parrocchie del Veneto, tra il 1816 e il 1870 vere anagrafi di 150mila nascite e 62mila decessi nei neonati, dimostra che a un abbassamento della mortalità infantile corrisponde un calo della fertilità. «Il Veneto di allora era nella stessa situazione dell’Africa di oggi — ha spiegato Dalla Zuanna nel dibattito moderato dal direttore del Corriere del Veneto, Alessandro Russello —. La mortalità infantile nella regione iniziò a diminuire dal 1840, la natalità solo dal 1920. Tra il 1851 e il 1951 la popolazione quasi raddoppiò e sarebbe aumentata ulteriormente se centinaia di migliaia di veneti non fossero emigrati. Nell’Africa Sub-Sahariana la natalità potrebbe rapidamente diminuire se istruzione, salute e sviluppo economico procedessero veloci sulla strada della modernizzazione. Quando il Cuamm lavora per salvare donne e bambini evita altri sbarchi, perchè regala nuove prospettive di vita». «Nel 1840 in Veneto morivano il 40% dei neonati entro il primo anno di vita e il 22% entro il primo mese — ha aggiunto Minello — per denutrizione delle madri, che partorivano figli deboli e facilmente attaccati da infezioni e problemi respiratori, e per ipotermia. Il cambiamento culturale, con i battesimi ritardati, l’acqua potabile, l’ingresso di medici condotti e ostetriche unito a una maggior attenzione a donne e bambini, ha invertito la rotta».
Perchè in Africa accada lo stesso, ha sottolineato il dottor Giovanni Putoto, responsabile della programmazione per il Cuamm, bisogna investire. «Ma oggi gli italiani donano ai progetti di aiuto meno di un dollaro pro capite al mese e concedono 10 centesimi pro capite al mese per combattere la mortalità infantile — ha rivelato —. Così cade lo stereotipo che spendiamo troppo per i Paesi in difficoltà. Eppure per ogni dollaro speso contro la malnutrizione c’è un ritorno come Pil e reddito pro capite della popolazione interessata tra 4 e 35 dollari. Ecco come si fa ad aiutarli a casa loro». «Noi aiutiamo loro ma loro aiutano noi — ha avvertito il professor Giorgio Perilongo, direttore del Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino di Padova —. Dal 2006 ogni sei mesi un nostro specializzando in Pediatria va a lavorare in un ospedale del Cuamm, perchè l’Africa ci insegna a fare i medici. In 12 anni abbiamo inviato 26 specializzandi, 25 sono ragazze». Una di loro è Elena Cavaliere, di Solesino: «Sono stata in Mozambico dove, prima dell’arrivo del Cuamm, la mortalità neonatale sotto i 5 anni era del 35%. Oggi è scesa al 18%, grazie alla creazione di spazi per le partorienti, all’acqua potabile, alle zanzariere anti-malaria, a incubatrici, attrezzature per la rianimazione e formazione del personale locale». L’aspettativa di vita delle donne è salita da 41 a 61 anni, la fertilità è scesa da oltre 6 figli per mamma a 4.
«Ci riconosciamo pienamente nell’attività del Cuamm, che parla con tutti e promuove uguaglianza, giustizia e umanità», la riflessione del vescovo di Padova, Claudio Cipolla.
Don Dante Non serve la carità pelosa, ma una prospettiva di vita Perilongo Ogni sei mesi un nostro pediatra va a lavorare in Africa