Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Zonin, secondo round di sequestri Dopo la villa è il turno del palazzo
Ufficiale giudiziario a Vicenza: in cassaforte 100 mila lire. A Montebello beni per 89 mila euro
Dopo la villa di Montebello, tocca al palazzo nel cuore di Vicenza.
Ieri mattina l’ufficiale giudiziario è tornato a bussare a una delle proprietà dell’ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, per dare esecuzione a una parte degli oltre 260 milioni di euro di sequestri conservativi autorizzati dal giudice Roberto Venditti. A chiederli erano stati gli avvocati Renato Bertelle e Michele Vettore, che rappresentano trecento risparmiatori e che hanno ottenuto il via libera al blocco di beni per 19 milioni di euro. Si tratta quindi della seconda tranche dei sequestri iniziati la scorsa settimana quando, sempre su iniziativa degli stessi legali, l’ufficiale giudiziario aveva posto i sigilli agli oggetti contenuti nella villa settecentesca alle porte di Montebello Vicentino in cui Zonin abita assieme alla moglie.
Ieri, intorno alle 10.30, nel mirino dei risparmiatori è quindi finito un prestigioso palazzo del centro storico a Vicenza. In realtà, all’interno di quei grandi saloni di contrà del Pozzetto, l’ex presidente della Banca Popolare non si vede da almeno un paio d’anni. Ad aprire la porta, è stato il custode, subito raggiunto dall’avvocato Enrico Ambrosetti, che difende Gianni Zonin nel procedimento che lo vede indagato per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza.
Tre piani, per una residenza di oltre 700 metri quadrati, che sono stati passati al setaccio dall’ufficiale giudiziario autorizzato a sequestrare qualunque oggetto di valore. Per nove ore i beni sono stati esaminati, compreso il contenuto di tre casseforti: due erano completamente vuote, la terza conteneva qualche moneta straniera e una vecchia banconota da centomila lire. «Quasi una presa in giro», l’ha definita l’avvocato Pietro Bertelle, che con il padre Renato sta seguendo il procedimento.
«Non abbiamo trovato alcun oggetto di particolare valore - prosegue il legale - ma quello che si può trovare in molte case». E così il blocco dei beni ha riguardato tappeti, quadri (tra i quali opere di Gueri da Santomio) e dell’argenteria. «Anche in questo caso - aggiunge l’avvocato Vettore - ci è stato detto che tutti i dipinti sono sprovvisti di certificato di autenticità. E francamente, vista la qualità delle opere, ci pare una risposta discutibile». Netta la replica del difensore di Zonin: «Dal palazzo di Vicenza, come dall’altra abitazione, nulla è stato asportato».
L’ufficiale giudiziario che la scorsa settimana, per tre giorni, era rimasto all’interno della villa di Montebello, deve ancora ufficializzare l’ammontare di quanto sottoposto a sequestro conservativo. Oggetti (tappeti persiani, opere d’arte, lampadari di Murano...) che però, stando alle indiscrezioni trapelate ieri, sarebbero stati valutati appena 89mila euro, in attesa di eventuali perizie relative proprio all’autenticità dei quadri, compreso il presunto Tintoretto che campeggiava nel salone principale. La cifra, si sommerà a quanto trovato ieri nel palazzo di Vicenza ma il valore complessivo sarà comunque molto lontano dall’obiettivo dei 19 milioni stabilito dal giudice. Qualcosa in più arriverà dalle abitazioni riconducibili dall’ex presidente Bpvi. «Abbiamo già chiesto la trascrizione del sequestro degli immobili, che diventerà effettivo nell’arco di qualche giorno», assicura Vettore.
Mentre i legali dei risparmiatori danno la caccia al tesoro di Gianni Zonin (o a ciò che ne resta), l’uomo che per vent’anni ha governato l’istituto di credito continua a respingere le accuse. Nei due interrogatori ai quali è stato sottoposto dalla procura di Vicenza e nel corso dell’audizione di fronte alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, ha sempre ribadito la stessa versione: non era a conoscenza del fenomeno (illecito) dei finanziamenti concessi per l’acquisto di azioni, e non era compito suo, nè del Consiglio di amministrazione della Popolare, dare ordini o vigilare su quanto veniva disposto dai manager, a cominciare dall’ex Ad, Samuele Sorato.
La verità la stabiliranno i giudici al termine dell’eventuale processo. Nel frattempo anche i beni sequestrati rimarranno al loro posto.