Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Erano un gruppo di terroristi 13 anni ai kosovari di Rialto
Tredici anni suddivisi fra i tre imputati che continuano a dirsi innocenti I legali fanno ricorso: «Nulla di concreto». A fine pena saranno espulsi
Tredici anni di reclusione VENEZIA e, una volta scontata la pena, l’espulsione dall’Italia. Si è concluso il processo di primo grado contro tre dei quattro kosovari che progettavano per l’Isis un attentato a Rialto. Oltre ai tre c’era anche il 17enne già condannato a 4 anni e 8 mesi dal gup del tribunale dei minorenni a gennaio. Ieri gli altri 3 sono stati condannati complessivamente a 13 anni di carcere. Il giudice ha condannato a 5 anni il 28enne Arjan Babaj, l’«ideologo» del gruppo, mentre ha dato 4 anni al 27enne Dake Haziraj e al 25enne Fisnik Bekaj. Per Babaj interdizione perpetua dai pubblici uffici, per gli altri due temporanea.
Tra di loro avevano VENEZIA parlato dell’ipotesi di colpire a Venezia con i coltelli, magari proprio nel periodo di Carnevale, approfittando delle maschere. Si erano fotografati chi al poligono di tiro, chi con un kalashnikov (dicendo poi, nella scorsa udienza, che andava «a caccia») e condividevano video tutorial su come sgozzare gli «infedeli». E soprattutto, nel corso di un’altra conversazione captata dalle forze dell’ordine in quell’appartamento della zona di San Marco dove si riunivano, il più giovane del gruppo aveva puntato alto: «A Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredenti ci sono qua... Metti una bomba... a Rialto». Ora i quattro presunti terroristi kosovari, arrestati un anno fa, sono stati tutti condannati.
Dopo che il 17enne aveva subito una pena di 4 anni e 8 mesi da parte del gup del tribunale dei minorenni a fine gennaio, ieri è arrivata la sentenza anche per i tre maggiorenni, a processo con il rito abbreviato di fronte al gup Massimo Vicinanza: il giudice ha condannato a 5 anni il 28enne Arjan Babaj, considerato l’«ideologo» del gruppo, mentre ha dato 4 anni al 27enne Dake Haziraj e al 25enne Fisnik Bekaj. Per Babaj ha imposto l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per gli altri due quella temporanea. Tutti e tre, quando avranno finito di scontare la loro pena, dovranno essere espulsi dal territorio italiano. Era stato il pm antiterrorismo Francesca Crupi, sotto la guida dell’allora procuratore capo reggente di Venezia Adelchi d’Ippolito, a coordinare le indagini di carabinieri e polizia, basate su una montagna di intercettazioni ambientali che avevano captato i discorsi sempre più estremistici del gruppo, oltre a raccogliere sui
social network (attraverso profili «chiusi», tanto che è stata necessaria una rogatoria negli Stati Uniti presso Facebook per «aprirli») la ricca attività di proselitismo, di diffusione dei messaggi violenti e di entusiasmo per altri attentati avvenuti in quei mesi in tutto il mondo. «La sentenza di oggi e quella del tribunale dei minorenni sono un grande successo della procura - dice d’Ippolito, che oggi è procuratore aggiunto - sono state accolte tutte le nostre richieste, a conferma che è stata una lunga indagine approfondita e meticolosa, svolta in ogni direzione e condotta con grande professionalità da polizia e carabinieri».
I tre giovani, dopo la lettura della sentenza, hanno ribadito la loro innocenza. In realtà non si aspettavano un esito molto diverso, visto che si trovano da mesi nei due carceri di Sassari (Bekaj) e Rossano Calabro (Babaj e Haziraj), che sono pieni di musulmani accusati di terrorismo e già condannati per situazioni simili alla loro. Ovviamente i loro avvocati, che ieri hanno subito annunciato il ricorso in appello, hanno una posizione ben diversa da quella della procura. «La legge italiana dice che è punibile ogni atto idoneo a determinare un fine, ma ormai con il terrorismo la rilevanza penale è anticipata commenta l’avvocato di Babaj, Vittorio Platì, che sta seguendo molti altri processi per questo reato in tutta Italia
Adelchi D’Ippolito Accolte le richieste, a conferma di un’indagine meticolosa: grazie a polizia e carabinieri
- Ci sono telefonate, intercettazioni, ma nulla di concreto. Siamo vicini alla censura, questi signori, per il fatto di essere musulmani, non si possono nemmeno documentare su ciò che avviene in Siria». «In aula l’abbiamo definito “diritto penale del nemico” - aggiunge l’avvocato Stefano Pietrobon, difensore di Bekaj - si è creato un sistema ad hoc per il terrorismo. Nelle intercettazioni c’erano farneticazioni ideologiche, ma secondo me sarebbe servito qualcosa di più per la condanna: al massimo ci poteva stare l’apologia di reato». «Il giudice ha comunque dato delle pene minori a quelle richieste dal pm e riconosciuto la diversa posizione del nostro cliente», spiegano gli avvocati di Haziraj, Alessandro Compagno e Patrizia Lionetti.