Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Gastronomia, identità volontariato e welfare Quel rito che resiste alla modernizzazione
Le tradizioni legate al gusto e l’impegno gratuito: così si affermano le feste locali
Secondo i profeti della Modernità novecentesca, avrebbero dovuto sparire come reliquie del passato contadino, insieme ai riti legati alla terra, ai costumi e magari anche alle manifestazioni esteriori della fede. Feste paesane, rogazioni e processioni varie: folklore buono al massimo per i nostalgici, di cui l’irreversibile inurbamento della popolazione avrebbe decretato la morte sicura. E invece no, cari modernisti di ogni ordine e grado: le sagre (e anche le processioni, a dire il vero) sono ancora qui con noi, nell’anno domini 2018, e stanno a rappresentare un legame con le nostre radici sociali molto più resistente di quanto i profeti della civiltà metropolitana potessero immaginare. Ai quali, oltretutto, era sfuggito un elemento fondamentale, che ha fatto la differenza soprattutto dagli anni Settanta del secolo scorso in avanti: le feste paesane - pure quelle di matrice religiosa dedicate al santo patrono del luogo, che in moltissimi casi si sovrappongono o si sostituiscono alle prime – si sono trasformate sempre più di frequente in sagre gastronomiche, dando vita a un fenomeno collettivo che, in diversi casi, ha ricadute importanti ed economicamente misurabili nel campo del turismo e dell’attrattività del territorio.
Tanto per fare un esempio, un sito web di viaggi ed esperienze diffuso a livello globale come Expedia ha una pagina specifica intitolata «7 feste e sagre del Veneto da non perdere in estate»: tutte, ma proprio tutte hanno a che fare con il gusto e le specialità enogastronomiche del posto, dal prosciutto Dop (a Nanto, suo Colli Berici) alla «bufala come non l’avete mai mangiata» (a Terrassa Padovana). Per uscire dai confini regionali, sappiate che alla sagra del tomino a Rivarolo Canavese (Piemonte) sono state vendute oltre cinquemila forme di formaggio in due giorni: quando si parla di ricadute economiche, queste sono cifre che non ammettono repliche.
A volerla vedere sotto una lente sociologica, le feste paesane legate alle tradizioni gastronomiche
Attrattive Le specialità della cucina locale hanno creato fenomeni economici I rischi I morti del Molinetto, la petizione dei volontari e l’intervento della Regione
– in Italia, praticamente ogni borgo può vantare qualcosa di tipico da gustare – hanno vinto sui profeti di sventura poiché hanno saputo esaltare le identità locali, contrapponendole ai globalismi alienanti dell’hamburger. In altre parole, hanno prodotto una rivalutazione della gastronomia etnico-regionale – e con essa, in senso più ampio, anche della cultura e delle tradizioni del posto –, vincendo su quella seriale di matrice industriale. La sagra del prosciutto di San Daniele del Friuli o la festa del baccalà alla vicentina di Sandrigo, solo per citarne un paio, sono diventate una sorta di presidio irrinunciabile della civiltà locale contro l’omologazione dei gusti. Per altro, secondo Coldiretti, sono tre su quattro gli italiani che ogni anno partecipano almeno a una sagra, spendendo in media una ventina di euro a testa. E se non è un business questo…
Una seconda ragione per cui i modernisti non hanno (ancora) vinto sta nel fatto che le feste paesane molto spesso si sono evolute da assalti al palo della cuccagna, con soppressa in palio per i più abili, in forme di piccolo welfare sussidiario della comunità locale. Lo stand delle costesine serve a sostenere le spese per la squadretta dei bambini del paese, il banco degli spritz sotto il tendone aiuta a raccogliere fondi pro-asilo parrocchiale (che altrimenti chiuderebbe, è il sottinteso), la lotteria o la pesca di beneficenza drenano risorse per una buona causa. Non tutto, insomma, è puro business.
Il terzo aspetto qualificante si chiama volontariato. Almeno il 50% della sagre è organizzato dalle Pro loco ma, più in generale, l’intero universo
delle feste paesane (da 20 a 30 mila ogni anno in Italia, secondo stime recenti) si regge sulla gratuità del tempo e del lavoro messi gentilmente a disposizione dai volontari. Migliaia di persone che fanno promozione sociale e che, loro malgrado, quando occupano posizioni di coordinamento - caso tipico, il presidente della Pro loco locale - possono rischiare in proprio rispetto alle norme di sicurezza, alle autorizzazioni, alla vigilanza contro gli infortuni e via elencando.
Un caso limite di questa forma di responsabilità oggettiva si è verificato proprio qui in Veneto: la magistratura ha imputato del reato di concorso in omicidio colposo il presidente della Pro loco di Refrontolo, Valter Scapol, in seguito alla tragedia del 2 agosto 2014, quando una bomba d’acqua provocò l’esondazione del torrente Lierza e la conseguente ondata di piena spazzò via il tendone della Festa dei Omini, organizzata appunto dalla Pro loco al Molinetto della Croda, provocando la morte di quattro persone.
Diecimila firme sono state raccolte dalle associazioni di volontariato per richiedere una legge che esenti da responsabilità legali gli organizzatori delle sagre, in caso di lutti o gravi danni provocati da eventi naturali. Il governatore Luca Zaia ha fatto sua la battaglia, promettendo che la Regione sosterrà le spese legali, al grido «giù le mani dalle Pro loco, i volontari non si possono trasformare in imputati». Sennò chi le organizzerà più la festa del gnocco o la sagra dei s-ciosi?