Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ARBITRIO DEL PRINCIPE SULLE OPERE
Se il «Contratto per il governo del cambiamento» non subirà ulteriori «limature», in tema di «trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni», ma anche delle altre componenti del capitale fisso sociale citate nel testo («una rete di infrastrutture idriche degna di questo nome», «la difesa degli assetti idrogeologici», il «piano per l’edilizia penitenziaria», le «sedi regionali di permanenza temporanea dei migranti da rimpatriare», l’«abbattimento delle barriere architettoniche», la «diffusione capillare di strutture socio-sanitarie e a bassa intensità di cura», «nuovi impianti sportivi», digitalizzazione di scuole e università, etc) ci dovremo accontentare della segnalazione di molti obiettivi e, per il Nord Ovest, solo per il Nord Ovest, della decisione di riesaminare il progetto di Linea ad Alta Velocità Torino-Lione e di promuovere il completamento del Terzo Valico ferroviario GenovaTortona. Per tutte le altre opere pubbliche di rilievo nazionale il resto del Paese, Nord Est in testa, può attendere: le «opportune decisioni» verranno adottate dal Comitato di Conciliazione – l’organo tutto politico inventato dal «Contratto» per dirimere le controversie tra Lega e M5S - dopo «una attenta analisi e valutazione del rapporto tra costi e benefici». Non un grande cambiamento. E non solo per la stranezza di dover immaginare un organo politico – della cui legittimità costituzionale si sta peraltro già discutendo
A lle prese con le analisi benefici-costi, opera per opera, di ovvia competenza tecnica. E neanche perché al momento parrebbe evidente la sottovalutazione del fatto che il futuro economico e sociale dell’Italia dipenderà nei prossimi anni più dal capitale sociale – questo sono le infrastrutture prodotte con le opere più o meno grandi! — disponibile al di fuori delle imprese e delle famiglie che non dal capitale privato accumulato al loro interno. E’ dal livello (oggi drammaticamente basso) e dall’efficienza del capitale sociale che dipenderanno sia l’aumento della produttività della nostra economia, dal quale dipende il rilancio della crescita, e con essa di quello dell’occupazione, e quindi dei redditi che il «Contratto» ritiene di dover altrimenti sostenere a spese del contribuente –sia il mantenimento di un livello accettabile di qualità della vita delle famiglie italiane. A parità di efficienza in fabbrica si è più competitivi se le reti di traporto, energia e digitali funzionano bene. A parità di reddito si vive sicuramente meglio se si può disporre di asili nido, scuole efficienti, ospedali e case per anziani decenti. L’anomalia, tutta italiana, e per la verità preesistente al «Contratto», ma che il «Contratto del governo del cambiamento» non «cambia», è che restiamo dentro la logica delle scelte infrastrutturali affidate all’«arbitrio del principe». Un principe, da domani il bizzarro Comitato di conciliazione, che si arroga il diritto di fare e disfare senza badare al fatto che le infrastrutture sono opere che si costruiscono in lustri ed erogano i loro servizi per decenni. Produttività del sistema economico e mantenimento della qualità della vita del Paese abbisognano che le infrastrutture vengano scelte dentro una procedura di piano –tecnicamente fondata e democraticamente garantita—ma poi sottratte alle vicende del ciclo politico così come di quello economico- finanziario. Il «cambiamento» può venire solo da un Piano Infrastrutture Italia proiettato almeno al 2030, redatto come il primo piano generale dei trasporti degli anni ’80 con la partecipazione di tutte le energie culturali, tecniche, e dei portatori di legittimi interessi disponibili nel Paese, approvato a maggioranza qualificata dal Parlamento e poi affidato per la sua realizzazione ad una Agenzia con poteri simili a quelli della Banca d’Italia dotata di risorse certe –difese dall’altalena del ciclo economicofinanziario—e resa indipendente dall’arbitrio del principe di turno. Tutto il resto è (drammatica) noia.