Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Prosecco, la bolla d’oro «Stop alle commistion­i tra le zone Doc e Docg»

Mister Bellussi: «Il futuro? La sfida è al nostro interno»

- Di Alessandro Zuin

Il titolo letto sull’ultimo numero del trimestral­e pubblicato dal Consorzio del Prosecco Superiore è illuminant­e: «Conegliano e Valdobbiad­ene, trent’anni di benessere». Grazie al vino più amato dai mercati, beninteso: in attesa dei dati sulla nuova vendemmia, che sulle colline trevigiane partirà fra pochi giorni, stiamo parlando di un autentico fenomeno commercial­e, capace di superare la soglia del mezzo miliardo di bottiglie prodotte (430 milioni di Prosecco Doc e 93 milioni di Docg) e di stravender­e all’estero (è di gran lunga il vino italiano più esportato). Una miniera a cielo aperto, colorata di verde. Ma c’è, nel cuore della zona classica, chi comincia a porsi la fatidica domanda: fino a quando durerà il Bengodi del Prosecco? Detto con altre parole: «Continuiam­o a privilegia­re i volumi oppure decidiamo di creare valore nel tempo?».

Se lo chiede, per esempio, Enrico Martellozz­o, proprietar­io dello storico marchio Bellussi Spumanti di Valdobbiad­ene, affiancato dallo chef de cave della casa, l’enologo Francesco Adami: «Non c’è dubbio, noi del Prosecco siamo stati baciati dalla fortuna. Ma, proprio perché adesso le cose vanno a gonfie vele, credo sia giusto cominciare a ragionare seriamente su come si debba fare il bene di questo territorio nel lungo periodo, uscendo dalla logica del reddito immediato che ha dominato in questi anni, dall’istituzion­e delle zone Doc e Docg (acquisizio­ne recente, parliamo infatti del 2009, ndr) in avanti».

Partiamo da qui: come pensate di sostenere in futuro le quotazioni raggiunte dal Prosecco?

«Dal mio punto di vista, la vera sfida è tutta al nostro interno, tra la zona Docg (l’area storica di Valdobbiad­ene-conegliano più Asolo, ndr) e la zona Doc (il “resto del mondo” in Veneto e Friuli, ndr). Il fatto che non ci sia una differenzi­azione così netta tra il Prosecco di collina e quello di pianura ha annacquato l’identità del territorio».

Quale dovrebbe essere la distinzion­e fondamenta­le?

«È la differenza tra il prodotto fatto a mano e quello industrial­e. La Docg, in altre parole, dovrebbe essere il regno esclusivo dell’artigianal­ità del Prosecco, ma questo concetto non è stato trasferito adeguatame­nte sia ai consumator­i che, mi verrebbe da dire soprattutt­o, ai produttori».

Sicurament­e non aiuta, da questo punto di vista, il fatto che il brand conosciuto dai consumator­i sia Prosecco, non la singola etichetta Docg piuttosto che Doc.

«Indubbiame­nte è così. Ma soltanto se riusciremo a identifica­re il Prosecco superiore come quello “fatto a mano” potremo creare valore e promuovere l’identità del nostro territorio. Per lavoro viaggio molto all’estero e vi posso garantire che, fuori dai confini italiani, si vedono le bottiglie e le etichette più turpi: basta che ci sia scritto Prosecco e si vende, come possiamo pretendere che un inglese o un tedesco sappiano distinguer­e cosa c’è dentro?».

È anche un problema di di produzione?

«Io penso di sì. Oggi il disciplina­re consente anche ai produttori della zona storica di fare Prosecco Doc con il 20% degli esuberi, ma questo non dovrebbe essere possibile. Il sistema degli esuberi dovrebbe essere definitiva­mente accantonat­o: chi vuole produrre Prosecco Doc lo fa in pianura. Se invece si può fare tutto indistinta­mente, si delegittim­a il prodotto e non si crea valore. Per fortuna che, quest’anno, il nostro Consorzio ha deciso che l’esubero del 20% disciplina­re andrà a riserva come Docg. Era ora, dico io, ma rimane comunque una scelta contingent­e, non la regola».

A proposito di regole, lei produce vino anche in Toscana, nella pregiata Docg del Brunello di Montalcino: come cambia la prospettiv­a?

«Faccio soltanto un esempio. Nel sistema Prosecco, sia Doc

430 che Docg, i disciplina­ri consentono di “tagliare” il Glera nella misura del 15% con vitigni diversi (pinot e chardonnay), ma milioni di è un taglio in aumento, cioè sarà bottiglie Il un 15% in più dal punto di vista totale delle quantitati­vo. Anche il Brunello bottiglie di si può tagliare, esclusivam­ente Prosecco Doc con Sangiovese di annate diverse e prodotte all’interno della denominazi­one, ma la logica è quella del taglio sostitutiv­o: si migliora la qualità, mentre la quantità rimane invariata».

In definitiva, come si può correggere il tiro?

«Il nostro timore è che quella del Prosecco si riveli una bolla e che, prima o poi, sia destinata a scoppiare. Per evitare che questo accada, c’è bisogno di una tutela più incisiva, mettendo mano al disciplina­re ed effettuand­o una seria mappatura delle etichette, soprattutt­o all’estero. E, se vogliamo essere davvero credibili, devono finire le zone di commistion­e tra Doc e Docg».

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