Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Prosecco, la bolla d’oro «Stop alle commistioni tra le zone Doc e Docg»
Mister Bellussi: «Il futuro? La sfida è al nostro interno»
Il titolo letto sull’ultimo numero del trimestrale pubblicato dal Consorzio del Prosecco Superiore è illuminante: «Conegliano e Valdobbiadene, trent’anni di benessere». Grazie al vino più amato dai mercati, beninteso: in attesa dei dati sulla nuova vendemmia, che sulle colline trevigiane partirà fra pochi giorni, stiamo parlando di un autentico fenomeno commerciale, capace di superare la soglia del mezzo miliardo di bottiglie prodotte (430 milioni di Prosecco Doc e 93 milioni di Docg) e di stravendere all’estero (è di gran lunga il vino italiano più esportato). Una miniera a cielo aperto, colorata di verde. Ma c’è, nel cuore della zona classica, chi comincia a porsi la fatidica domanda: fino a quando durerà il Bengodi del Prosecco? Detto con altre parole: «Continuiamo a privilegiare i volumi oppure decidiamo di creare valore nel tempo?».
Se lo chiede, per esempio, Enrico Martellozzo, proprietario dello storico marchio Bellussi Spumanti di Valdobbiadene, affiancato dallo chef de cave della casa, l’enologo Francesco Adami: «Non c’è dubbio, noi del Prosecco siamo stati baciati dalla fortuna. Ma, proprio perché adesso le cose vanno a gonfie vele, credo sia giusto cominciare a ragionare seriamente su come si debba fare il bene di questo territorio nel lungo periodo, uscendo dalla logica del reddito immediato che ha dominato in questi anni, dall’istituzione delle zone Doc e Docg (acquisizione recente, parliamo infatti del 2009, ndr) in avanti».
Partiamo da qui: come pensate di sostenere in futuro le quotazioni raggiunte dal Prosecco?
«Dal mio punto di vista, la vera sfida è tutta al nostro interno, tra la zona Docg (l’area storica di Valdobbiadene-conegliano più Asolo, ndr) e la zona Doc (il “resto del mondo” in Veneto e Friuli, ndr). Il fatto che non ci sia una differenziazione così netta tra il Prosecco di collina e quello di pianura ha annacquato l’identità del territorio».
Quale dovrebbe essere la distinzione fondamentale?
«È la differenza tra il prodotto fatto a mano e quello industriale. La Docg, in altre parole, dovrebbe essere il regno esclusivo dell’artigianalità del Prosecco, ma questo concetto non è stato trasferito adeguatamente sia ai consumatori che, mi verrebbe da dire soprattutto, ai produttori».
Sicuramente non aiuta, da questo punto di vista, il fatto che il brand conosciuto dai consumatori sia Prosecco, non la singola etichetta Docg piuttosto che Doc.
«Indubbiamente è così. Ma soltanto se riusciremo a identificare il Prosecco superiore come quello “fatto a mano” potremo creare valore e promuovere l’identità del nostro territorio. Per lavoro viaggio molto all’estero e vi posso garantire che, fuori dai confini italiani, si vedono le bottiglie e le etichette più turpi: basta che ci sia scritto Prosecco e si vende, come possiamo pretendere che un inglese o un tedesco sappiano distinguere cosa c’è dentro?».
È anche un problema di di produzione?
«Io penso di sì. Oggi il disciplinare consente anche ai produttori della zona storica di fare Prosecco Doc con il 20% degli esuberi, ma questo non dovrebbe essere possibile. Il sistema degli esuberi dovrebbe essere definitivamente accantonato: chi vuole produrre Prosecco Doc lo fa in pianura. Se invece si può fare tutto indistintamente, si delegittima il prodotto e non si crea valore. Per fortuna che, quest’anno, il nostro Consorzio ha deciso che l’esubero del 20% disciplinare andrà a riserva come Docg. Era ora, dico io, ma rimane comunque una scelta contingente, non la regola».
A proposito di regole, lei produce vino anche in Toscana, nella pregiata Docg del Brunello di Montalcino: come cambia la prospettiva?
«Faccio soltanto un esempio. Nel sistema Prosecco, sia Doc
430 che Docg, i disciplinari consentono di “tagliare” il Glera nella misura del 15% con vitigni diversi (pinot e chardonnay), ma milioni di è un taglio in aumento, cioè sarà bottiglie Il un 15% in più dal punto di vista totale delle quantitativo. Anche il Brunello bottiglie di si può tagliare, esclusivamente Prosecco Doc con Sangiovese di annate diverse e prodotte all’interno della denominazione, ma la logica è quella del taglio sostitutivo: si migliora la qualità, mentre la quantità rimane invariata».
In definitiva, come si può correggere il tiro?
«Il nostro timore è che quella del Prosecco si riveli una bolla e che, prima o poi, sia destinata a scoppiare. Per evitare che questo accada, c’è bisogno di una tutela più incisiva, mettendo mano al disciplinare ed effettuando una seria mappatura delle etichette, soprattutto all’estero. E, se vogliamo essere davvero credibili, devono finire le zone di commistione tra Doc e Docg».