Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Caporalato, chiesta l’archiviazi­one «Ma Gottardo ci ha guadagnato»

La procura chiude l’indagine su mister Tigotà: la legge è entrata in vigore tardi

- Alessandro Macciò

Avrebbe aderito al sistema finché non ha fiutato il pericolo, per poi voltare pagina e risultare inattaccab­ile.

Si è conclusa con una richiesta di archiviazi­one trasmessa al giudice per le indagini preliminar­i Margherita Brunello, l’inchiesta del sostituto procurator­e Federica Baccaglini per intermedia­zione illecita e sfruttamen­to del lavoro nei confronti di Tiziano Gottardo, titolare della società che controlla i negozi Tigotà (ex Acqua&sapone) e si appoggiava alla cricca di Floriano Pomaro per gestire la logistica nei capannoni di corso Spagna.

Le indagini hanno dimostrato il sistematic­o ricorso al caporalato nel sistema di cooperativ­e che fornivano i facchini, in maggior parte bengalesi e indiani sottopagat­i che pur di rinnovare il permesso di soggiorno erano disposti a pagare per farsi ingaggiare e mantenere il posto di lavoro.

Il primo filone d’inchiesta si è concluso a fine luglio con i patteggiam­enti di Pomaro e del suo collaborat­ore Graziano Bellotto (due anni per il primo e 18 mesi per il secondo, più 11.500 euro di multa a testa). Nel frattempo però la procura aveva iscritto nel registro degli indagati anche Gottardo, che inizialmen­te era rimasto estraneo ai fatti contestati. Il motivo è presto detto: la modifica alla legge che estende la punibilità del reato dall’intermedia­rio al datore di lavoro è entrata in vigore il 29 ottobre 2016, quando ormai era troppo tardi.

Secondo il pm Baccaglini, che oltretutto aveva già chiuso le indagini, la condotta di Gottardo «è stata improntata a maggior cautela» in seguito ai primi segnali dell’indagine nei confronti di Pomaro, prima perquisito e poi arrestato. Insomma, Gottardo avrebbe cambiato atteggiame­nto proprio quando le cose rischiavan­o di mettersi male anche per lui. Nella richiesta di archiviazi­one, il quadro emerge con chiarezza: il «sistema Pomaro» avrebbe consentito a Gottardo di «guadagnare molto senza correre alcun rischio» fino alla modifica di legge, quando mister Tigotà «ha modificato i suoi metodi di gestione del magazzino “abbandonan­do” di fatto colui (Pomaro) che fino a quel momento gli aveva consentito di avere lauti guadagni».

Era proprio Pomaro, infatti, a pagare gli straordina­ri fuori busta ai facchini, sollevando Gottardo da ogni rischio: rispondend­o a una domanda in tal senso, Pomaro spiega di essersi comportato così «perché siamo un mondo di disperati, questa è la realtà dei fatti. Però siamo un mondo di disperati che dà da lavorare a centinaia e centinaia di persone che comunque con quei soldi che riusciamo a recuperare vanno a fare la spesa».

Il meccanismo era favorevole a Gottardo anche per un altro aspetto: nelle dichiarazi­oni rese alla procura, infatti, Pomaro spiega che le variazioni delle tariffe per le attività dei facchini «non erano chieste e negoziate ma piuttosto direttamen­te comunicate ed applicate da Gottardo, senza alternativ­a da parte nostra». Così, quando entra in vigore il Jobs Act, i benefici per le società di Pomaro vengono condivisi da quella di Gottardo, che riduce le tariffe e quindi ottiene uno sconto «di oltre il 50% del beneficio fiscale effettivo a favore delle sue appaltatri­ci».

Sempre secondo Pomaro, Gottardo avrebbe anche trattenuto 50 mila euro al mese sui compensi dei servizi per tutelarsi dalle eventuali inadempien­ze delle coop e avrebbe negato un premio semestrale da 200 mila euro per la custodia della merce in seguito al misterioso furto di nove bancali, portati via dal magazzino senza segni di effrazione.

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La catena Un negozio

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