Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Compiano, l’accusa di bancarotta cade Assolto tutto il cda
Nessun colpevole per il crack da 100 milioni che ha trascinato Nes, gruppo trevigiano leader nel campo della sicurezza e della vigilanza, nel baratro del fallimento. Lo ha stabilito ieri il giudice Angelo Mascolo, con una sentenza che ha smontato l’inchiesta della procura durata tre anni. Non è colpevole il patron Luigi Compiano, che al massimo risponderà di appropriazione indebita per aver comprato auto storiche, barche e motoscafi offshore, tappeti e quadri con i soldi affidati al suo caveau dagli ignari clienti. Non lo sono i membri del consiglio d’amministrazione Filippo Silvestri, Angelo Monti, Paolo Ricciardi e Fabrizio Ricoldi. Non lo sono nemmeno il figlio e la moglie di Compiano che erano amministratori di una delle società, la Autocom, costruita appositamente per gli acquisti. Tutti assolti «perché il fatto non sussiste». Con buona pace della procura, dei creditori e dei circa 580 dipendenti rimasti senza lavoro. L’udienza di quello che, nell’ambito della maxi inchiesta, è sempre stato considerato il processo madre si è tenuta ieri. Il pm Massimo De Bortoli aveva formulato quattro richieste di rinvio a giudizio per Compiano. La più pesante relativa alla società fulcro, la North East Services che gestiva i caveau di Silea, di bancarotta documentale e per distrazione di 36 milioni di euro. Gli avvocati Piero Barolo e Boris Cagnin, legali dell’imputato, hanno sostenuto che non c’era stata bancarotta perché: «Quei 36 milioni prelevati indebitamente dai caveau non sono mai entrati a far parte del patrimonio della società, dal quale quindi non possono essere stati distratti». E il giudice Mascolo ha dato loro ragione derubricando la bancarotta in appropriazione indebita. Una sentenza che l’avvocato Barolo non nasconde: «Ci ha dato grande soddisfazione». Compiano rischiava una condanna fino a 10 anni di carcere, ora saranno al massimo 3. «L’impianto accusatorio era sbagliato e illogico» commenta l’avvocato Roberto Nordio. Di diverso avviso il il procuratore Michele Dalla Costa: «Queste decisioni ci hanno spiazzato e lasciano l’amaro in bocca. Non siamo certo andati a caccia di farfalle. Ci sembra impossibile aver sbagliato attività d’indagine, impostazione d’accusa e valutazione degli elementi che riteniamo siano solidi. Leggeremo le motivazioni e valuteremo il ricorso in appello».