Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Contro l’insolvenza si costituisce con Consoli anche tutto l’ultimo Cda
Da una parte l’ex dg Vincenzo Consoli (nella foto) che chiede l’annullamento della pronuncia, dall’altra la procura generale che punta invece alla conferma della sentenza di primo grado. Nel mezzo, la dichiarazione di insolvenza di Veneto Banca sancita dal tribunale fallimentare di Treviso. Questo lo scontro che si è giocato ieri, a Venezia, tra l’avvocato Sirio D’amanzo dello studio Giliberti e Triscornia di Milano, legale di Consoli, e l’avvocato generale della Corte d’appello Giancarlo Bonocore. Una partita importante per l’ex direttore generale, che cerca così di evitare l’accusa, di cui potrebbe essere presto chiamato a rispondere dalla procura di Treviso, di aver mandato in bancarotta Veneto Banca. I giudici veneziani si sono riservati e quindi bisognerà attendere qualche giorno per conoscere la loro decisione sulla legittimità di quanto stabilito dai colleghi Antonello Fabbro, Francesca Vortali e Petra Uliana della sezione fallimentare del tribunale trevigiano, e cioè che, alla data del 25 giugno 2017, quando venne posta in liquidazione coatta, l’ex Popolare era insolvente, con un passivo di 538,6 milioni di euro. Tesi che l’avvocato generale della Corte d’appello Bonocore ha ribadito ieri, chiedendo la conferma della sentenza. Ma i legali di Consoli contestano proprio i numeri: «Abbiamo illustrato le motivazioni per le quali, a nostro avviso – spiega l’avvocato D’amanzo -, la banca non era insolvente sia sotto il profilo patrimoniale, perché l’attivo superava il passivo, sia valutando la possibilità di pagare tutti i creditori. E il contrario non è certamente provato dalla sentenza di primo grado. Per questo, in subordine al suo annullamento, abbiamo chiesto ai giudici un’integrazione istruttoria, affinché quei numeri vanno ricalcolati con una perizia tecnica». Nel procedimento si sono costituiti anche gli ultimi amministratori della banca che, sotto la presidenza di Massimo Lanza, avevano cercato di salvare il salvabile. Assistiti dall’avvocato Paolo Gnignati e dal professor Lorenzo Stanghellini, si sono «rimessi alla decisione della corte». Del resto, la sentenza di primo grado sembra di fatto esonerarli dalle responsabilità che hanno portato all’insolvenza. (m.cit.)