Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Marchi ammette «Ne avevo soggezione»

L’INTERVISTA ENRICO MARCHI I rapporti con Benetton e l’ultimo incontro: «Parlammo per due ore»

- Di Nicoletti

Il rapporto con Gilberto Benetton? «Ricordo la soggezione con cui andavo ogni dieci giorni a Villa Minelli per parlargli». Per definire la relazione di Enrico Marchi, proprietar­io e «motore» della Finint di Conegliano, con Gilberto Benetton si ricordano di solito le partite con Atlantia per il controllo su Save, e magari quella precedente sugli Aeroporti di Roma. E poi magari si risale indietro, fino al divorzio nella finanza d’inizio anni Novanta. a costruire il prototipo perfetti. Ma se il finanziere Quasi degli avversari si chiede a Marchi, oppone un’altra linea:

«Non era così. Ce lo siamo detti più volte anche negli ultimi tempi. La stampa ama creare divisioni particolar­i. Ma il nostro è sempre stato un rapporto tra due famiglie - non solo tra me e Gilberto - di rispetto, amicizia e, credo, stima reciproca. Ho molti ricordi di Gilberto, perché lo associo agli inizi del mio lavoro». Come fu?

«Siamo stati soci per 11 anni dal 1981. Ricordo quegli anni io ne avevo 25 -: con Finleasing Italia facemmo una società al 50%; ora sarebbe impossibil­e. Volevamo crescere e con loro diventammo tra i primi in Italia». E i rapporti com’erano?

«Ricordo i tanti incontri nell’ufficio prima al piano di sotto e poi sopra. Ci davamo del lei: gli dicevo di darmi del tu, lui mi ricordava che gli davo del lei. Ma ero abituato a vederlo con mio padre, non poteva essere altrimenti».

Marchi in soggezione... «Ero ancora studente e lui era già il signor Gilberto e loro i Benetton... E poi ero abituato a vederlo come amico di mio padre. Ero molto orgoglioso della fiducia che ci avevano dato. Poi hanno venduto tutte le partecipaz­ioni finanziare. Il nostro è stato un rapporto di amicizia tra famiglie e di incroci».

Sugli aeroporti gli incroci, come li chiama, iniziano prima con Gemina.

«Ci siamo incrociati ma con grande rispetto. Non potevo competere, ero una pulce rispetto a loro».

Poi Save.

«Ha sempre detto che non avrebbe mai fatto nulla contro di me. E così è stato. Tanto che un anno fa, dopo aver chiuso l’opa, sono andato a trovarlo, nei nuovi uffici di Edizione di fronte al Duomo di Treviso. Siamo rimasti due ore e mezza a parlare. Un incontro molto bello, che porterò con me». Come si era innescato? «Avevo chiesto io di incontrarl­o. Non ci eravamo mai parlati mentre Edizione era socia: avevo avuto qualche incontro con Giovanni Castellucc­i (l’ad di Atlantia, ndr). Chiusa l’opa, e venduta la loro quota, mi sembrava giusto andare a dirgli che non c’era nulla di personale. Se Edizione fosse entrata, da socio finanziari­o e veneto, mi avrebbe fatto piacere; ma avevamo l’ambizione di essere noi il socio industrial­e».

E lui cosa disse?

«Che capiva e aveva sempre detto ai suoi manager che non avrebbe mai fatto niente contro di me. Io sapevo che alla fine era stato lui a fermare Castellucc­i. L’ho ringraziat­o e lui mi ha detto: ‘Ma guarda che era naturale. Io l’ho sempre detto; e ho fatto quello che ho sempre detto’».

Alla fine hanno prevalso i rapporti di lunga data.

«Di un mondo dove ci sono gli affari ma anche i rapporti personali. I Benetton io li ho incrociati, perché mio padre era il rappresent­ante della Lanerossi

” Fermò lui Atlantia su Save. Lo ringraziai e disse: ho fatto quello che ho detto

che forniva loro la lana fin dall’inizio. Li conoscevo da quando avevo dieci anni. E quando abbiamo comprato la casa a Cortina mio padre e Carlo Benetton l’hanno presa sullo stesso pianerotto­lo e la mia l’ho comprata da Giuliana... Dirò di più su Save».

Prego.

«Quando iniziai a comprare quote, i primi a cui le ho offerte sono stati Gilberto Benetton e Leonardo Del Vecchio. Sono stato prima a Ponzano e poi ad Agordo. Loro si erano parlati concludend­o che erano cose troppo piccole per le loro dimensioni. Da lì è discesa la cordata con Stefanel, Colomban, Boscolo e Bastianell­o. Questo per dire com’erano i rapporti».

E ricorda gli inizi della finanza, quando Benetton diede il via libera?

«Ricordo nitido. Era a dicembre 1981, sotto Natale. Lui si era rotto una gamba, aveva il gesso. Con mio padre siamo andati a prenderlo in Range Rover per dargli un passaggio a Cortina. Ne ho approfitta­to per spiegargli il progetto. Mi ha detto ch’era interessan­te. Poco dopo siamo partiti».

Si discute di chi assumerà la sua eredità.

«Credo che il compito delle grandi famiglie sia di organizzar­si da azionisti che indirizzan­o le aziende e scelgono i manager giusti. Edizione l’ha già fatto».

Il Veneto perde un altro riferiment­o. Ma qual è il vero lascito di Gilberto Benetton al Veneto? Aver pensato in grande?

«Esatto. Gli insegnamen­ti della famiglia Benetton sono stati la grande creatività, il pensare in grande e il riuscire a strutturar­e un gruppo così da zero in una sola generazion­e. Sono stati molto bravi a far diventare il Veneto protagonis­ta di operazioni internazio­nali. Non capita spesso, purtroppo, in un Veneto mondo di piccole e medie imprese, che lavorano molto e con serietà, ma che lì si ferma, perdendo per strada i suoi gioielli».

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IncrociEnr­ico Marchi e Gilberto Benetton, due anni fa a Venezia, all’apertura del Fontego dei Tedeschi, nel bel mezzo della partita su Save

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