Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
VIVIAMO COME AMORTALI
L’argomento non è di sicuro dei più allegri, ma è purtroppo ineludibile. E ci dice anche molto di come vada cambiando la nostra società. Stiamo parlando della morte, un tema decisamente paradossale perché – pur essendo la nostra una popolazione sempre più invecchiata – ci comportiamo da «amortali» in una società che si vorrebbe perfino «postmortale». Infatti anche la morte non è uguale nel tempo: cambia perché cambiano le sue cause, i tempi, i luoghi e le modalità del morire.
Primo punto: la morte oggi è ormai associata strettamente alla sola vecchiaia. Sembra ovvio e scontato, ma non è sempre stato così: alla fine dell’ottocento ben un terzo dei bambini sotto i 5 anni moriva per influenza, bronchite, polmonite, tifo. Per l’infanzia del tempo era normale veder scomparire fratelli o sorelle così come era normale per i genitori perdere presto una parte dei (numerosi) figli. Ed anche i giovani erano falcidiati da guerre, infezioni, malattie (allora) non curabili. Ancora negli anni Cinquanta il 6 per cento dei bambini decedeva entro il quinto anno di età. Insomma morire da vecchi era un lusso non certo frequente.
Secondo punto: oggi, all’opposto, la morte è monopolio dei vecchi. Anzi, dei molto vecchi. In Veneto è curioso rilevare che il tasso di mortalità minimo si ha tra i 5 ed i 14 anni, per poi salire lentamente divenendo a due cifre dopo i 65 anni e a tre cifre dopo gli 85, all’avvio della cosiddetta quarta età.
Tuttavia la speranza di vita è passata dai 72 anni del 1974 agli 83 attuali. Ed è significativo che – sempre in Veneto – l’età in cui i decessi sono massimi è ormai quella dei 90 anni. Il che significa che la morte è stata allontanata con successo in tempi tutto sommato rapidi: con un guadagno di vita – è stato calcolato – pari a tre mesi ogni anno. Per cui il morire giovani – termine questo estremamente dilatato – appare oggi inconcepibile, innaturale, perfino ingiusto.
Terzo punto, oggi si vorrebbe che la morte continuasse ad essere sempre più ricacciata indietro. Cioè che la vita media si allungasse indefinitamente. Addirittura che l’attuale invecchiamento attivo divenisse talmente attivo da configurare una vita sempre giovane-giovanile, senza vecchiaia o quasi, e che a dover morire – a questo punto – fosse la morte stessa. Già nel linguaggio dei necrologi la parola morte tende a dileguarsi, ad essere rimossa: si scompare, si perde o ci si spegne, come se la vita fosse un computer o un macchinario. I riti funebri perdono i colori cupi e dolenti e l’aldilà religioso viene rimosso ed ignorato, decisamente soverchiato dal più potente aldiquà. Un aldiquà desiderato il più possibile lungo e giovanile, in attesa che da amortali si diventi finalmente immortali (o quasi). E’ bello sperarlo: e mai come in questo caso vale dire che chi vivrà vedrà.