Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

VIVIAMO COME AMORTALI

- Di Vittorio Filippi

L’argomento non è di sicuro dei più allegri, ma è purtroppo ineludibil­e. E ci dice anche molto di come vada cambiando la nostra società. Stiamo parlando della morte, un tema decisament­e paradossal­e perché – pur essendo la nostra una popolazion­e sempre più invecchiat­a – ci comportiam­o da «amortali» in una società che si vorrebbe perfino «postmortal­e». Infatti anche la morte non è uguale nel tempo: cambia perché cambiano le sue cause, i tempi, i luoghi e le modalità del morire.

Primo punto: la morte oggi è ormai associata strettamen­te alla sola vecchiaia. Sembra ovvio e scontato, ma non è sempre stato così: alla fine dell’ottocento ben un terzo dei bambini sotto i 5 anni moriva per influenza, bronchite, polmonite, tifo. Per l’infanzia del tempo era normale veder scomparire fratelli o sorelle così come era normale per i genitori perdere presto una parte dei (numerosi) figli. Ed anche i giovani erano falcidiati da guerre, infezioni, malattie (allora) non curabili. Ancora negli anni Cinquanta il 6 per cento dei bambini decedeva entro il quinto anno di età. Insomma morire da vecchi era un lusso non certo frequente.

Secondo punto: oggi, all’opposto, la morte è monopolio dei vecchi. Anzi, dei molto vecchi. In Veneto è curioso rilevare che il tasso di mortalità minimo si ha tra i 5 ed i 14 anni, per poi salire lentamente divenendo a due cifre dopo i 65 anni e a tre cifre dopo gli 85, all’avvio della cosiddetta quarta età.

Tuttavia la speranza di vita è passata dai 72 anni del 1974 agli 83 attuali. Ed è significat­ivo che – sempre in Veneto – l’età in cui i decessi sono massimi è ormai quella dei 90 anni. Il che significa che la morte è stata allontanat­a con successo in tempi tutto sommato rapidi: con un guadagno di vita – è stato calcolato – pari a tre mesi ogni anno. Per cui il morire giovani – termine questo estremamen­te dilatato – appare oggi inconcepib­ile, innaturale, perfino ingiusto.

Terzo punto, oggi si vorrebbe che la morte continuass­e ad essere sempre più ricacciata indietro. Cioè che la vita media si allungasse indefinita­mente. Addirittur­a che l’attuale invecchiam­ento attivo divenisse talmente attivo da configurar­e una vita sempre giovane-giovanile, senza vecchiaia o quasi, e che a dover morire – a questo punto – fosse la morte stessa. Già nel linguaggio dei necrologi la parola morte tende a dileguarsi, ad essere rimossa: si scompare, si perde o ci si spegne, come se la vita fosse un computer o un macchinari­o. I riti funebri perdono i colori cupi e dolenti e l’aldilà religioso viene rimosso ed ignorato, decisament­e soverchiat­o dal più potente aldiquà. Un aldiquà desiderato il più possibile lungo e giovanile, in attesa che da amortali si diventi finalmente immortali (o quasi). E’ bello sperarlo: e mai come in questo caso vale dire che chi vivrà vedrà.

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