Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’imprenditore che pensava globale restando locale
Sembrano passati 1000 anni, ma è solo da poco più di tre lustri che si è dato sbocco istituzionale, con la riforma del titolo V della Costituzione, alla spinta regionalista che si immaginava capace di liberare le energie del Paese «conculcate» dal governo nazionale. Spinta nata dalla iniziativa della Lega Nord e della Liga veneta arrivata fino a colorarsi di secessionismo che il centro sinistra pensava di aver ricondotto nell’alveo dell’interesse nazionale. Una vicenda politicoistituzionale sicuramente alimentata dagli entusiasmi che avevano accompagnato il boom della piccola e media impresa manifatturiera felicemente esplosa in Italia, soprattutto a Nord-est, nell’ultimo quarto del secolo scorso. Tra le imprese del «miracolo a Nordest», che si autocompiacevano del «piccolo è bello», della competizionecooperazione dei distretti, della robustezza dei legami con il contesto sociale, erano anche andate nascendo od irrobustendo imprese presto divenute medio grandi e capaci di affrontare da sé anche i mercati internazionali più difficili. Le guidavano imprenditori come Del Vecchio, Carraro, Zoppas, De Longhi, Moretti Polegato, e molti altri; e, tra questi, i Benetton. Un gruppo, quest’ultimo che resta nel branco fin che rimane entro la sua attività originale tesa a riempire di colori l’abbigliamento di mezzo mondo. Ma che compie uno scarto - alla base del prepotente successo del gruppo - quando le intuizioni di Gilberto Benetton, e la sua capacità di ascoltare e seguire i consigli dei grandi collaboratori dei quali si circonda, portano il Gruppo a diversificare le proprie attività verso la ristorazione da viaggio (Autogrill) e le infrastrutture di trasporto (dalle autostrade agli aeroporti) che si affermano anche fuori d’italia da dove arriva oggi quasi il 50% dei ricavi. Ma Gilberto mostra anche il coraggio della managerializzazione: affida le nuove attività a manager professionali che sceglie con cura e che cambia con altrettanta decisione quando lo ritiene opportuno. Diversificazione delle attività e dei mercati e managerializzazione che gli consentono di esprimersi in modo globale/locale , «glocal» per usare un aggettivo orribile, ma che lo definisce come nessun altro. Locale, perché tale è la sua volontà di rimanere a Treviso, di trattenervi lì la testa del gruppo; perché locali, tradizionali, sono le sue abitudini di vita; perché alla sua città riserva la sua responsabilità sociale; perché profondamente veneto è il suo senso della misura, il suo fare paziente ma deciso (chi avrebbe avuto la pazienza di aspettare tutti gli anni che ci sono voluti per completare l’investimento sul Fontego dei Tedeschi a Venezia?). E globale, perché il Veneto gli sta stretto (come altro interpretare la sua rinuncia a impadronirsi del Gazzettino?); perché intuisce che un imprenditore di successo oggi non sopravvive se non punta a sfide globali, come quelle che vince con Autostrade ed Autogrill. Indimenticabile il brillio nei suoi occhi nei giorni nei quali si stava finalizzando l’accordo con Abertis che lo proiettava a primo gestore autostradale mondiale. Il capolavoro per il quale andrà ricordato. Sentimento che prevarrà quando la rabbia impietosamente scatenata dall’immane tragedia del ponte Morandi di Genova e delle sue vittime innocenti verrà placata dall’accertamento delle responsabilità. Il prevalere di un giusto sentimento che non è certo aiutato dal silenzio imbarazzante della politica rotto solo dalle commosse parole di Luca Zaia.