Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

SOVRANISMO LA CREPA DEL NORD

- Di Sandro Mangiaterr­a

Un campanello d’allarme dovrebbe scattare nel governo e pure le granitiche certezze (sondaggi alla mano) di Matteo Salvini dovrebbero essere riviste, se Luca Zaia arriva a dire che sì, le manifestaz­ioni di piazza degli imprendito­ri lui le capisce, eccome. E con lui i sindaci del centrodest­ra del Veneto. Signori, abbiamo un problema. Anzi, un doppio problema. Al Nord cresce il malessere, con un’alleanza trasversal­e, sempre più forte e inedita, tra industrial­i, artigiani e persino sindacati. In parallelo, poi, emergono le prime crepe sulla linea nazionale e sovranista di Salvini da parte di esponenti sulla cui fedeltà leghista è difficile eccepire: il governator­e del Veneto Zaia in testa, ormai autentico «sindacalis­ta» delle istanze di quella che una volta era la «Padania», ma anche il collega lombardo Attilio Fontana (di provata fede maroniana) e il neoeletto presidente del Trentino Maurizio Fugatti. Tutta gente che si schiera apertament­e per la realizzazi­one delle grandi opere e storce il naso davanti a una manovra assistenzi­alista e foriera di guai. Ben prima della manifestaz­ione torinese pro Tav,gli imprendito­ri del Nordest erano scesi in campo per guidare il fronte favorevole alle infrastrut­ture.

L’asiaghese Agostino Bonomo, il parmense Marco Granelli e l’atesino Martin Haller sono invece fra i testimonia­l che «mettono la faccia» sull’appuntamen­to promosso da Confartigi­anato a Milano, giovedì 13 dicembre. Titolo (che è già un programma): «Quelli del sì». Insomma, se l’intero Nord è in subbuglio, nel nuovo triangolo industrial­e Milano-bologna-venezia tira addirittur­a aria di rivolta. O se si preferisce, di opposizion­e. Sedici delle 27 opere superiori ai cento milioni ferme, congelate o in bilico, sono al Nord. L’ance, l’associazio­ne dei costruttor­i edili, parla di un investimen­to complessiv­o, bloccato, di 24,6 miliardi. Ma il nodo del contendere non riguarda esclusivam­ente le infrastrut­ture. La legge di Bilancio viene vista più improntata alla decrescita (in)felice che allo sviluppo. Senza contare che per il momento ha portato solamente a una frattura con i nostri partner (anche commercial­i) europei e a un aggravio di costi per famiglie e imprese: 1,5 miliardi in più in questo scorcio d’anno per il rialzo degli interessi sul debito pubblico, altri 5 nel 2019 se lo spread dovesse mantenersi intorno a quota 300 (calcoli della Banca d’italia). Evidenteme­nte gli incontri «riappacifi­catori» fra Verona e Treviso del superminis­tro del Lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio con gli industrial­i nordestini non hanno sortito grandi effetti. Quanto a Salvini, farebbe bene a smetterla di sostenere che a protestare sono quattro gatti. E non guasterebb­e nemmeno evitare i toni sprezzanti con cui si è rivolto a Confindust­ria e alle altre organizzaz­ioni imprendito­riali: «Sono state zitte per anni, adesso che ci lascino lavorare». Il cosiddetto «partito del Pil» è parte costitutiv­a del bacino elettorale leghista. Salvini può avere tolto dal nome del partito la parola Nord, ma non può ignorare la voce di chi tiene in piedi il Paese.

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