Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

COSA SA ESSERE LO SPORT

- Di Daniele Rea

Vale la pena di farsi una domanda, a cui rispondere con onestà: di cosa hai bisogno, se non di qualcosa che ti scaldi il cuore? Di un segnale, forte e chiaro. Di una luce che non sia artificial­e, ma semplice e forte come un sentimento reale. Una luce da inseguire senza rischiare di arrivare in fondo e capire che sono solo immondizie che bruciano. Due esempi di luce, sono quelli che in questi giorni arrivano dal mondo dello sport. Due esempi che fanno capire, con una chiarezza incontrove­rtibile, che di negatività, rabbia e cattiverie da tastiera (e non solo) la gente, forse, inizia ad averne abbastanza.

Il primo esempio arriva dal calcio, spesso alla ribalta solo per polemiche e contrasti. E arriva dal fondo classifica della serie A, con il capitano del Chievo Sergio Pellissier e il figlio raccattapa­lle Matteo, di 8 anni. Che stanco di vedere il papà in panchina non voleva più venire allo stadio. «Non si molla mai, vedrai che giocherò, segnerò e ci abbraccere­mo», aveva detto il padre al figlio. L’abbraccio con Matteo, pochi secondi dopo il gol segnato alla Lazio, ha fatto il giro del web: migliaia di condivisio­ni della foto con papà e figlio stretti a bordo campo. Un segnale potente, che sui social si può anche condivider­e, nel vero senso della parola; un gesto così semplice eppure così forte come la trasmissio­ne, di padre in figlio, di un valore speciale come l’amore. Sergio e Matteo Pellissier, con un abbraccio, hanno rovesciato la scala dei valori del calcio.

E le polemiche roventi per un fuorigioco o una valutazion­e del Var appaiono subito per quello che sono: quisquilie, avrebbe detto il principe De Curtis. Il secondo esempio arriva dritto dal rugby, sport durissimo ma dove rispetto e disciplina vengono prima di tutto. E dove le sterzate fuori dai canoni vengono punite severament­e. Contesti una decisione arbitrale? Dieci metri indietro sulla linea di difesa. Perseveri? Altri dieci. Non a punire te, ma tutta la squadra. Una cornice in cui puoi infilare la testa non solo in campo ma soprattutt­o nella vita di tutti i giorni. Il Benetton Treviso, franchigia nella «celtica» Pro14, oggi giocherà a Monigo contro gli Harlequins con tutti i giocatori, in campo e in panchina, più quelli non convocati, rasati a zero. E rasati saranno anche il coach e lo staff tecnico tutto. Non una matricola collettiva da pagare, ma un gesto a sostegno di un compagno di squadra colpito da un male terribile e contro cui sta giocando la partita più difficile e più importante. Un gesto collettivo, carico di umanità e vicinanza, come può essere solo in uno spogliatoi­o dove ci si può anche appendere al muro, se serve, ma dove si diventa un uomo solo quando è il momento. C’è bisogno di cose buone, e non perché si avvicina il Natale e c’è bisogno di sciacquare la coscienza. E’ un piccolo insegnamen­to che dovrebbe arrivare ovunque, anche alla politica. Quando saremo in tanti a condivider­lo allora, forse, avremo preso la strada giusta.

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