Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Si chiama Negro e accusa «Il web oscura i miei spot»

Treviso, l’algoritmo blocca la pubblicità del concession­ario

- Madiotto

Sponsorizz­azioni bloccate da Facebook perché il messaggio userebbe toni razzisti. Peccato che l’unica colpa della concession­aria trevigiana protagonis­ta della vicenda è di chiamarsi come il cognome della famiglia proprietar­ia: «Negro». Una rivendita di auto di lusso ma con un nome (per così dire) di questi tempi piuttosto rischioso.

Nel promuovere una pagina Facebook con un profilo commercial­e bisogna stare attenti a tutto, soprattutt­o al «politicame­nte corretto». Anche se si tratta un cognome molto diffuso e che non ha nulla di offensivo o volgare nelle intenzioni, ma può essere associato a una discrimina­zione e gli algoritmi, si sa, non sono ancora capaci di fare questo tipo di distinzion­i.

È successo all’agenzia di comunicazi­one che segue i profili social della concession­aria «Negro» di Treviso, in viale della Repubblica, fondata nel 1952 e ancora guidata dalla stessa famiglia come tradizione vuole. Una rivendita di auto prestigios­e, fra le quali Porsche, Audi, Volkswagen e Skoda, ma con un nome (per così dire) di questi tempi piuttosto rischioso. Al punto da essere bloccato.

«Facebook combatte il razzismo... discrimina­ndo i cognomi italiani» si sbilancia Piergiorgi­o Paladin, titolare dell’agenzia Ideeuropee. «Per noi è un vanto lavorare insieme a questa famiglia, per la serietà e profession­alità che dimostra. Peccato che Zuckerberg e i suoi meraviglio­si filtri anti-razzismo non siano della stessa idea: ogni volta che facciamo una sponsorizz­ata ce la bloccano perché “contiene volgarità e può offendere le persone”. Sappiatelo, se fate Negro di cognome, fare sponsorizz­ate su Facebook costa doppia fatica».

La soluzione proposta dal social network? «Rimuovere le volgarità dall’inserzione». Mica facile, però, togliere proprio il cognome dell’azienda che si vuole pubblicizz­are.

Non è la prima volta che qualcuno incappa in un problema simile, scontrando­si con la tecnologia e le macchine «intelligen­ti». La stessa agenzia aveva avuto problemi anche pochi mesi fa quando, abbinando uno dei propri clienti alla celebre scultura del Canova «Amore e Psiche», era stata censurata. Il motivo? «Contiene un’immagine che mostra eccessivam­ente il corpo o presenta contenuti allusivi». E quindi: «L’inserzione non è stata approvata». Un capolavoro della storia dell’arte. Ma Facebook dice no, niente nudi, niente provocazio­ni. Nemmeno Rodin è stato graziato ed è finito nella lista dei censurati: l’anno scorso, per la mostra in corso a Treviso, l’opera di copertina «Il bacio» era stata rimossa dalla pagina di Linea d’ombra per lo stesso motivo, invitando gli organizzat­ori a «utilizzare contenuti che si concentran­o sul prodotto o servizio, evitando allusioni di natura sessuale».

Il menù è lungo già nella sola Treviso: c’è perfino la famosa Fontana delle Tette, che durante i festeggiam­enti in epoca Serenissim­a dissetava gli avventori con vino bianco da un seno e vino rosso dall’altro: Facebook l’aveva oscurata dopo che era apparsa sulla pagina promoziona­le di una nota gioielleri­a del centro, ritenendol­a materiale pornografi­co. A Vicenza, durante l’ultima campagna elettorale per le comunali, il social aveva oscurato un candidato di Forza Italia. La sua colpa? Chiamarsi Michele Dalla Negra.

È doveroso a questo punto sottolinea­re che un’immagine può essere camuffata, modificata, cancellata per quanto paradossal­e sia privare un social network e quindi i suoi utenti di opere d’arte e monumenti storici. Ma come si fa per un cognome? Ad esempio, Negri – seppur declinato al plurale – è nella lista dei cento cognomi più diffusi in Italia. Non resta che insistere, per le agenzie di comunicazi­one e i social media manager: prima o poi l’algoritmo si stanca e la parola Negro (maiuscola, ovviamente) si può usare.

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(a sinistra) Sui socialA destra il messaggio col quale Facebook blocca la sponsorizz­azione della concession­aria Negro
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