Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’operazione, il calvario e la mail al chirurgo «Così il batterio ha colpito»
Elvira, paziente veronese morta in ottobre per la «chimaera» La diagnosi dell’infezione nel 2016, la ricostruzione dei Nas
«Dottor Gerosa, io la ringrazio per quanto ha fatto per mia madre, sappia però che è morta a causa del micobatterio chimaera». Sono queste le parole utilizzate dalla figlia di Elvira Capitanio, paziente veronese (classe ‘46, di Caldiero) cardiopatica deceduta dopo aver contratto il batterio killer.
Il professor Gino Gerosa, direttore della Cardiochirurgia dell’azienda ospedaliera universitaria di Padova, è letteralmente saltato sulla sedia quando un paio di mesi fa ha avuto la notizia via mail, e ha immediatamente informato i vertici. Quella era una paziente che aveva seguito con cura, l’intervento sembrava riuscito pienamente. La signora Capitanio ora è nella lista delle sei vittime uccise dal batterio che ha contaminato il dispositivo di riscaldamento/raffreddamento del sangue utilizzato anche a Padova nel corso degli interventi a cuore aperto. Il suo nome è nel fascicolo della procura che sta raccogliendo informazioni sull’intervento cui la donna era stata sottoposta e sui protocolli di manutenzione dell’impianto.
I militari del Nas guidati dal maggiore Marco Passarelli e delegati dal pm Benedetto Roberti hanno ricostruito con dettaglio tutta la vicenda della paziente veronese. Stando ai documenti acquisiti dall’ospedale, che sta pienamente collaborando alle indagini, la donna era in cura con lo staff del professor Gerosa nel 2014, e nell’autunno di quell’anno venne ricoverata e poi sottoposta a un delicato intervento al cuore. L’operazione riuscì e la paziente fu dimessa con la prescrizione di sottoporsi a tutti i controlli del caso. Per circa due
La squadra all’opera
Le verifiche su errori e omissioni affidate allo stesso team di investigatori che portò alla luce lo scandalo delle valvole killer
Elvira ha resistito due anni ed è morta nell’ottobre del 2018, due mesi fa, nella sua casa a Caldiero. Non è stata ordinata l’autopsia perché non ce n’era bisogno: si sapeva perfettamente cosa ne avesse causato la morte.
Ricostruendo tutto il percorso, si è scoperto anche che la 72enne è stata particolarmente sfortunata. Sembra infatti che nel 2014 l’azienda ospedaliera di Padova fosse stata avvisata dal Ministero che la Stockert T3, macchina per la circolazione extracorporea, era infettata: Roma, su comunicazione della ditta produttrice, la Livanova (brevetto britannico e produzione tedesca), informò le cardiochirurgie italiane della necessità di osservare un preciso protocollo di manutenzione del macchinario, consigliando anche il prodotto chimico da utilizzare per la pulizia. Gli operatori di Padova hanno fatto tutto secondo le regole, purtroppo Elvira era stata operata poco prima della comunicazione decisiva, quando la macchina era ancora infetta. Le indagini della procura puntano a scoprire se ci sono state omissioni nella gestione dell’emergenza, e a portare avanti l’inchiesta è il medesimo staff che portò alla luce lo scandalo delle valvole killer, una vicenda di mazzette e malasanità che nel 2001 travolse Cardiochirurgia e provocò la morte di tre pazienti.
Una lavatrice di soldi sporchi. Questo era diventata la ex filiale Bpvi di Busa di Vigonza. Lo scoprirono gli agenti della Dia che nel 2017 arrestarono sedici persone, tra cui anche il direttore della filiale Federico Zambrini. In manette anche un manipolo di mafiosi della ‘ndrangheta (gente del calibro di Vincenzo Giglio ed esponenti della famiglia Giardino) che emettevano false fatture per giustificare passaggi di denaro provenienti dal traffico di droga e armi. Il pm Roberti ha chiuso l’inchiesta su 21 persone, tra cui Nicola Girina difeso dall’avvocato Andrea Levorato, e si appresta a chiedere il processo a vario titolo per associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al traffico di droga.