Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL SENSO DEL FEDERALISM­O AUSTERO

Prima proposta contro la carenza di ospedalier­i. Coletto: «Siamo già al lavoro»

- di Gigi Copiello

Le tre Regioni con la migliore sanità sono nell’ordine: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto. L’ha deciso il mercato: sono infatti le Regioni più attrattive di pazienti da altre Regioni. Che Lombardia, Emilia Romagna e Veneto abbiano poi le migliori scuole di ogni ordine e grado, ce lo dice l’intuizione, prima ancora della ragione. Sanità e scuola, dunque. Ma anche occupazion­e, redditi, salari. E qualità della vita, in generale. Insomma: dove c’è una classifica, queste Regioni, le loro provincie e città, occupano sempre le prime posizioni. Con una, e una sola, eccezione. Mica dappoco, peraltro. C’è la classifica che mette in fila tutte le Regioni per spesa dello Stato. Ebbene, in questa classifica le tre Regioni risultano ultime. Come spesa per abitante, terzultima l’emilia R., penultimo il Veneto, ultima la Lombardia. Come spesa in rapporto al Pil, sempre ultima la Lombardia, penultima l’emilia, terzultimo il Veneto. Certamente questa classifica può essere letta anche all’incontrari­o ed allora queste sono le Regioni più virtuose: spendono meno spesa pubblica, meno di tutti. Senza, peraltro, compromett­ere quantità e qualità dei servizi. Anzi.

Prima di arrivare a qualche conclusion­e, si faccia la controprov­a. Quali sono le Regioni con il peggior servizio sanitario? Nell’ordine: Calabria, Campania e Sicilia sono le Regioni che più di tutte costringon­o i loro pazienti ad emigrare in altre Regioni (in primis: Lombardia, Emilia e Veneto, per l’appunto).

Parte dal Veneto la prima proposta che il ministero della Salute sta vagliando per rimediare alla carenza di specialist­i (10mila in Italia e 1295, più altri 357 previsti nell’organico ufficiale ma mai coperti dai concorsi, nella regione). Il 27 marzo il ministro Giulia Grillo, con il sottosegre­tario Luca Coletto, ha riunito i rappresent­anti delle Regioni e dei ministeri dell’istruzione e dell’economia per discutere il progetto presentato da Claudio Costa, funzionari­o della Direzione Sanità e Sociale del Veneto, che prevede un percorso di specializz­azione «parallelo» a quello ora in vigore, basato sull’ingresso dei laureati in Medicina nelle Scuole di specialità. I cui posti a disposizio­ne sono però insufficie­nti rispetto al numero dei candidati: per il 2019 lo Stato ha finanziato 8100 borse di studio (contro le 6934 del 2018), a fronte di 10mila laureati. Al Veneto ne sono state assegnate 530, cui si aggiungono le 90 pagate da Palazzo Balbi con 10 milioni di euro. Poche.

E allora la piattaform­a elaborata dalla Regione prevede l’assunzione diretta dei laureati, da far specializz­are in ospedale. L’ha annunciato lo stesso Coletto venerdì sera a Padova, nel corso di un incontro pubblico organizzat­o dal presidente della commission­e regionale Sanità, Fabrizio Boron. «Già nel Patto della Salute 2014, quando ero assessore alla Sanità del Veneto, avevamo scritto la necessità di prevedere un percorso parallelo di specializz­azione nei reparti, come del resto si faceva fino alla fine degli anni Ottanta e non mi sembra che i medici così formati non si siano poi dimostrati all’altezza, anzi — ha ricordato il sottosegre­tario —. E così siamo tornati su quest’idea, analizzand­o la proposta del Veneto che contempla l’assunzione dei laureati come dirigenti medici da retribuire con lo stipendio base e non più con la borsa di studio. Saranno inquadrati con contratto a tempo determinat­o, visto che al termine della specializz­azione dovranno affrontare il concorso pubblico, e affiancati in corsia da un medico strutturat­o, chiamato a fare da tutor. Il primo anno la didattica, che seguiranno all’università, sarà predominan­te — ha aggiunto Coletto — poi un po’ alla volta diventeran­no sempre più numerose le ore dedicate alla pratica in reparto. Rispetto al passato, stavolta non ci sono divergenze con il Miur, ma il testo va un po’ limato, per renderlo compatibil­e alle normative vigenti. Ci riuniremo di nuovo tra quindici giorni. Sono ottimista».

Probabilme­nte si parlerà di contratti di formazione lavoro e di «Teaching hospital», appunto di ospedali predispost­i per «insegnare» il mestiere alle nuove leve. Compito che la Regione non intende limitare alle due Aziende ospedalier­e di Padova e Verona ma anche ad altri hub, cioè poli capoluogo. «C’è poi un’altra clausola — ha rivelato Coletto — una volta completata la specializz­azione in ospedale, il medico dovrà restare per tre anni a lavorare nel territorio in cui l’ha svolta. Esattament­e come prevede una delibera del Veneto per gli specializz­andi che ottengano una borsa di studio pagata da Palazzo Balbi. Il governo a suo tempo l’aveva impugnata, ma la Regione ha vinto davanti alla Consulta, quindi si può riproporre. Formare un medico, dal primo anno di Università all’ultimo di specializz­azione, costa oltre 200mila euro: non possiamo permetterc­i di continuare a farceli portare via da Germania (conta 10mila camici bianchi italiani, ndr) e Gran Bretagna».

Ma ad ispirare il ministero c’è anche la recente delibera con la quale la giunta Zaia autorizza l’assunzione di specialist­i pensionati. «Pensiamo a modificare la legge Madia, in modo da consentire ai medici in procinto di smettere di lavorare di restare al loro posto finchè le nuove assunzioni non colmino le attuali carenze — ha chiuso il sottosegre­tario —. Magari incentivan­doli economicam­ente ed esentandol­i dalle guardie notturne». D’accordo sui «teaching hospital» («li abbiamo sempre chiesti»), gli ospedalier­i dell’anaao storcono il naso di fronte «ai nonni col camice»: «Restino a casa».

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In corsia Specializz­andi durante il tirocinio in ospedale. Ora si studia la loro assunzione diretta, per colmare la carenza di medici
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Luca Coletto Sottosegre­tario alla Salute

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