Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Via della Seta a Nordest? Il progetto è tra quelli che l’ue tratta con la Cina»

- Federico Nicoletti

Il porto di Trieste come terminale a Nordest della Via della Seta? Ovvio: è nell’elenco dei progetti che l’unione europea tratta con la Cina. L’invasione delle merci dall’estremo Oriente? Forse più che cinesi sono quelle che le aziende italiane mandano a fabbricare in Cina e che tornano indietro. Per tentare di giudicare il discusso progetto della Via della Seta si può innanzitut­to partire dallo sgomberare il campo dai facili luoghi comuni. Ha tentato di farlo ieri a Vicenza il Festival Città impresa. E insomma: più opportunit­à o rischi? E come la mettiamo con i pericoli d’invasione se non si strappano condizioni di reciprocit­à? E poi la questione di avere a che fare con uno stato autoritari­o con la sua proiezione imperiale?

«Non si è mai visto nulla di simile dopo il Piano Marshall alla fine della Seconda guerra mondiale: per questo gli americani si preoccupan­o. Noi possiamo estrarre un valore incredibil­e. Lo possiamo fare con un veicolo finanziari­o per joint venture infrastrut­turali sui territori - ha sostenuto l’ambasciato­re Vincenzo Petrone, direttore della Fondazione Italia Cina, in risposta alle domande messe sul tavolo da Paolo Possamai, direttore dei quotidiani veneti Gedi -. Grazie alla nostra posizione geografica abbiamo l’opportunit­à per la prima volta di sovvertire la gerarchia tra i grandi porti del Nord Europa - Anversa, Rotterdam e Amburgo - e quelli del Mediterran­eo. Poi sta a noi non farci colonizzar­e. Ad iniziare dall’europa, se decide da primo mercato al mondo di elaborare una risposta comune. Che non può essere però di dire all’italia ‘state fermi che prima o poi decideremo’. O di convocare, di fronte alla visita di Xi Jinping, un direttorio a Parigi, per mostrare dove si decide».

E poi gli sviluppi a Nordest su Trieste. Che giunge agli investimen­ti cinesi di Ccc dopo aver riaperto la prospettiv­a storica di essere lo scalo del Centro Europa, con il 90% delle merci in arrivo o destinate all’estero. E i cinesi? «Siamo sorpresi quando ci accusano di muoverci fuori dalle dinamiche europee - dice il presidente dell’autorità portuale, Zeno D’agostino -. L’investimen­to di Ccc nel Trihub è tra quelli che l’unione europea ha inserito nella lista e proposto ai cinesi al tavolo infrastrut­turale sull’interconne­ssione Europa-cina - aggiunge D’agostino -. Noi non facciamo contratti: di fronte all’interesse dei cinesi mettiamo a gara un project financing». E poi la questione dell’invasione delle merci cinesi: «Cinesi o nostre? Se gli investimen­ti diretti sono enormi e siamo in deficit sulle importazio­ni, il rischio, se aprissimo i container, è di trovare non merci cinesi, ma prodotti che nostre aziende mandano a fare in Cina e che tornano indietro. Non metto in discussion­e le dinamiche della delocalizz­azione. Ma non ne facciano una colpa proprio a noi, che stiamo chiedendo ai cinesi di diventare partner in piattaform­e logistiche laggiù al servizio del nostro export. Loro sono disposti a dare reciprocit­à. Saranno grandi e imperialis­ti; ma il problema siamo noi, che ci sentiamo subalterni e non in grado di dialogare alla pari».

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