Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Infarto fatale a 83 anni «All’alba nella sua fabbrica era la morte che voleva»

- Priante, Pistore

È morto all’alba di ieri nella sua fabbrica, a 83 anni, dove si recava ogni giorno fin dal primissimo mattino, nonostante l’età non più verde. È morto così, a causa di un infarto, Giuseppe Filippi, titolare della Anemos (scaffalatu­re) di San Giorgio delle Pertiche, nel Padovano. La figlia Stefania l’aveva sentito al telefono poco prima: «Se n’è andato facendo ciò che amava».

«Ci siamo sentiti al telefono intorno alle 5.30, come facevamo tutte le mattine. Gli ho chiesto se stava bene e papà mi ha risposto di sì, a parte quell’influenza intestinal­e che lo tormentava da alcuni giorni. Dopo dieci minuti è entrato in azienda per iniziare a lavorare, ed è lì che l’infarto l’ha ucciso. Mi piace pensare che, in fondo, se n’è andato facendo ciò che amava».

Stefania Filippi racconta di suo padre Giuseppe, che a 83 anni andava tutti i giorni nella sua ditta a San Giorgio delle Pertiche e che ieri, proprio in quello stabilimen­to, è morto a causa di un malore. Un uomo che, con la sua storia e la fine che gli ha riservato il destino, pare incarnare l’epopea dell’imprendito­ria veneta, fondata sulla fatica, i schei e su una dedizione incondizio­nata alla fabbrica e ai suoi valori, anche a dispetto dell’età.

«Mi ha insegnato che bisogna guardare avanti», dice Stefania. È ciò che sta tentando di fare: lui è morto da una manciata di ore e lei ha appena chiuso una conference call con i vertici di una multinazio­nale. Ha discusso di affari seduta in ufficio, su quella che per tanto tempo è stata la poltrona del padre. «Lui avrebbe voluto così: ci sono cinquanta dipendenti, con le loro famiglie, che ora contano su di me», assicura.

Giuseppe Filippi aveva rilevato la Anemos Spa venticinqu­e anni fa, quando l’azienda navigava in cattive acque, trasforman­dola rapidament­e in una grande realtà produttiva. Merito anche della sua creatività. «Nel 1995 papà brevettò il primo scaffale a incastro, completame­nte senza viti: più peso si trova a portare, più si stabilizza. A suo modo, fu una rivoluzion­e. Grazie anche a quell’idea, oggi siamo tra i leader europei del settore».

Nato a Scilla, quando aveva quattro anni suo padre fu ucciso da una bomba abbandonat­a dai tedeschi in un fienile. Rimasta sola, sua madre trasferì quel che restava della famiglia al nord e, con molti sacrifici, fece studiare entrambi i figli. Giuseppe si laureò in Ingegneria a Padova, sua sorella in Matematica. «Conobbe mia madre e si sposarono. Lui iniziò lavorando nel settore dell’edilizia, poi passò al commercio di bobine metalliche». Per un po’ fece anche da consulente esterno per un piccolo produttore di scaffali di San Giorgio delle Pertiche. Quando l’azienda entrò in crisi, lui decise di rilevarla. «Si buttò anima e corpo in quell’avventura imprendito­riale. Era innamorato della Anemos: ricordo che, quand’ero piccola, papà ci passava intere giornate. A volte, visto che all’epoca la produzione era a ciclo continuo, ci dormiva pure».

Con il successo, arrivò anche la ricchezza. Ma Filippi non si lasciò condiziona­re granché: «Una settimana di ferie ad agosto, tre giorni a Natale, e per il resto dell’anno era sempre in fabbrica. Si svegliava alle 4.30 del mattino ed era il primo ad arrivare nello stabilimen­to: accendeva le luci e avviava i macchinari, controllan­do che tutto fosse funzionant­e per il primo turno, quello delle 6. Poi andava in ufficio e ci rimaneva fino a quando non era arrivata l’ora di rincasare».

Stefania Filippi racconta che il padre ottenne il primo impiego a 24 anni. E questo significa che lavorava da sessant’anni. «Ogni tanto diceva di essere stanco, che era il momento di mollare. “Ora smetto”, mi assicurava. E io già sapevo come sarebbe andata a finire: il giorno dopo si presentava al lavoro in anticipo». Perché, come capita a tanti imprendito­ri della sua generazion­e, la fabbrica era la vita stessa. «Qui dentro papà si sentiva felice». L’odore del metallo appena tagliato, il rumore delle piegatrici. «Ogni tanto avevo l’impression­e che avesse maturato una forma di dipendenza nei confronti di tutto questo».

Se n’è andato all’alba di ieri, sapendo che la sua «creatura» era solida a sufficienz­a da poter andare avanti senza di lui. Sua figlia ha un approccio diverso. «Appartengo a un’altra generazion­e: il lavoro è importante, anche sotto il profilo intellettu­ale. Ma, al contrario di papà, non è la mia unica ragione di vita: io sento il bisogno di dedicarmi anche alla famiglia, allo sport...». Raccontata così, si potrebbe immaginare la figura di un padre assente. «E invece ho sempre amato l’uomo che era - conclude Stefania Filippi - perché mi ha insegnato che ciascuno deve fare ciò che lo rende felice. E lui era felice così, seduto alla scrivania della sua azienda».

” La figlia Stefania In azienda papà era felice. Ogni tanto diceva di essere stanco, “Ora smetto”, mi assicurava E io già sapevo come sarebbe andata a finire: il giorno dopo si presentava al lavoro in anticipo

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Capitano d’impresa Giuseppe Filippi, è morto ieri a 83 anni

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