Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Asili, aumentano ancora le rette
La Fism: «Ritocchi dovuti al calo dei bimbi». Al nido stesso problema: allarme Cgil
«Complice il calo demografico, registriamo una diminuzione costante degli iscritti e, di conseguenza, è probabile che le rette delle scuole materne siano destinate ad aumentare, anche in futuro. Sta già accadendo: quest’anno, circa la metà degli istituti privati aumenterà le rette di una decina di euro». Lo dice il presidente regionale della Federazione delle scuole materne. E anche nel pubblico, la Cgil denuncia l’aumento dei costi.
«È un momento di grandi trasformazioni sul fronte dei servizi per l’infanzia», ammette Stefano Cecchin, il presidente veneto della Federazione italiana scuole materne. «Complice il calo demografico, registriamo una diminuzione costante degli iscritti e, di conseguenza, è probabile che le rette delle strutture private siano destinate ad aumentare, anche in futuro. Sta già accadendo: due anni fa, il rinnovo del contratto nazionale Fism ha comportato 15 euro in più sulla retta mensile. E quest’anno, circa la metà delle materne aumenterà di un’altra decina di euro. Per le scuole pubbliche, invece, si tratterà di capire fino a quando lo Stato potrà continuare a incrementare le coperture finanziarie».
Per le famiglie non si annunciano tempi facili. Anche se c’è chi sta correndo ai ripari: a Spresiano (Treviso), il sindaco ha deciso di investire 600mila euro per offrire ai propri cittadini asili gratuiti. Ma gli altri Comuni stanno a guardare e studiano incentivi per venire incontro alle famiglie dei 120mila alunni delle scuole d’infanzia del Veneto.
Le materne
Per decenni le materne (ma anche gli asili nido) sono state considerate solo per la loro funzione sociale, di assistenza alle famiglie. Solo negli ultimi anni è emerso il ruolo educativo. Diventa quindi fondamentale la qualità del servizio, per misurare la quale occorre partire dai numeri forniti dal Miur e dalla Fism.
Attualmente il 65% degli alunni tra i 3 e i 6 anni è iscritto a una scuola paritaria (e non a una comunale o statale), anche perché in poco meno della metà dei Comuni (il 45%) esistono solo strutture private. Il 15,7% dei bambini non ha la cittadinanza italiana, anche se il 90% di loro in realtà è nato nel nostro Paese.
Nelle scuole d’infanzia statali lavorano 3.839 insegnanti, mentre le paritarie danno lavoro a seimila educatrici. Nel settore pubblico, quasi sempre le famiglie pagano in base ai pasti consumati dal figlio e quindi, ammesso che il bimbo frequenti tutti i giorni, la tariffa media è di 80 euro al mese. Diverse le cifre nelle strutture private dove, per ciascuno degli 83mila iscritti, i genitori versano una retta fissa che oscilla tra i 150 e i 230 euro al mese. Tanto? Dipende da cosa offrono. «Laboratori, psicomotricità e, soprattutto, l’insegnamento della lingua inglese, incidono molto sui costi», spiega Cecchin. E comunque le rette non bastano a coprire le spese. Secondo i dati Fism, ogni bambino costa 3.500 euro l’anno alla paritaria, e addirittura 6.100 euro alla scuola pubblica. In quest’ultimo caso la differenza, ovviamente, ce la mettono le amministrazioni. Ed è sempre lo Stato a sostenere gli asili privati, che in Veneto ricevono 44 milioni dal Miur e 17 milioni dalla Regione, mentre i finanziamenti che giungono dai Comuni variano a seconda dei casi (si va dai 180 a un massimo di 1.200 euro l’anno) con una media di 410 euro a iscritto. Dal 2018 si sono poi aggiunti i 7 milioni di euro del Fondo nazionale per il sistema integrato di educazione.
Insomma, una montagna di soldi pubblici ogni anno finisce nella casse di 1.113 scuole d’infanzia private. Ma a chi sostiene che andrebbero tagliati i trasferimenti, il presidente della Fism ricorda che «se chiudessero le paritarie in Veneto, lo Stato dovrebbe spendere 480milioni di euro l’anno per garantire l’attuale copertura».
Gli asili nido
Dopo che il premier Conte ha promesso «nidi per tutti, gratis per i redditi più bassi», ieri la Cgil Funzione Pubblica del Veneto ha lanciato l’allarme: «Qui la situazione è fortemente critica - dice il segretario generale Daniele Giordano - ed è necessario un vero intervento immediato. I dati sugli asili nido dimostrano come l’offerta esistente non sia assolutamente in grado di affrontare la domanda richiesta». Stando alle ultime stime disponibili, nella nostra regione ci sono 120 mila bambini dai 0 ai 3 anni. Ebbene, le 1.100 strutture attive (796 asili privati e 304 pubblici) sono in grado di accoglierne solo 30mila, in pratica il 25 per cento dei potenziali iscritti. Ne restano esclusi 90mila.
La situazione migliore si registra a Rovigo, che «copre» un terzo del totale di bimbi, mentre la scarsità di asili è più grave nel Bellunese (21 posti ogni cento bambini fino a due anni). «Pur con un 3% in più rispetto alla media nazionale, il Veneto risulta essere il fanalino di coda del nord-est con ben 4 punti sotto la media», spiega la Cgil.
Gli utenti spendono mediamente 2.200 euro l’anno, molto più del 1.867 euro di costo medio del resto d’italia. Dalle amministrazioni locali del Veneto, invece, si stima un contributo complessivo di 54 milioni. Ma anche qui - denuncia il sindacato - si registra la stessa tendenza delle scuole d’infanzia: analizzando i dati degli ultimi anni, emerge che i Comuni spendono sempre meno per i nidi comunali (-20%) mentre aumenta la percentuale di spesa pagata dagli utenti (+4%). Il tutto, a fronte di un numero di iscritti calato del 13%.
Stefano Cecchin (Fism) Complice il calo degli iscritti è probabile che le rette delle strutture private siano destinate ad aumentare anche in futuro
Daniele Giordano (Cgil) I dati sugli asili nido dimostrano come l’offerta esistente non sia assolutamente in grado di affrontare la domanda richiesta