Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Non rinnego nulla ma non seguo Matteo Cambio idea se il Pd dimentica il Nordest» L’ex segretario: «Più disorienta­to che deluso»

L’INTERVISTA L’EX FEDELISSIM­O DE MENECH

- Marco Bonet

«No, non seguirò Matteo

Renzi».

Roger De Menech, ex sindaco di Ponte nelle Alpi, ex segretario regionale del Pd, deputato, è stato in questi anni uno dei volti più noti del «renzismo» in Veneto. Al fianco di «Matteo» nella scalata al partito, e poi durante l’esperienza di governo, ora guarda stupito alle mosse dell’ex premier, quasi sconsolato: «Che senso ha questa scissione? Non lo so».

Deluso?

«Deluso non è la parola giusta. Direi piuttosto, disorienta­to. Si tratta di una scissione “a freddo”, senza neppure un pretesto plausibile. Mi spiego: fosse tornato nel Pd D’alema, non in quanto tale ma per ciò che rappresent­a, o se il governo Conte avesse iniziato a smantellar­e il Job Act, avrei capito. Ma così...». Dunque lei resta dove sta. «Sì, per due ragioni. La prima è che mi pare tutto affrettato, confuso e questa richiesta di decidere “qui e ora” mi impedisce di aprire una riflession­e con chi mi sostiene sul territorio. Si può aderire ad un nuovo partito così, sussurrand­o nei corridoi del Palazzo? Per me no e difatti passerò il fine settimana nel Bellunese a parlare con i nostri militanti. Dove stiamo andando? È giusto confrontar­si altrimenti poi con che faccia torniamo a chiedere il loro voto?».

La seconda ragione? «Siamo appena riusciti a spiegare faticosame­nte ai cittadini le ragioni che ci hanno portato a sostenere il Contebis insieme ai Cinque Stelle, con cui in questi anni ce ne siamo dette di tutti i colori, e ora spacchiamo il partito aprendo una ferita profondiss­ima? Non ha senso».

Insomma, De Menech non è più «renziano».

«Io non sono mai stato iscritto né ai Ds né alla Margherita. Sono un nativo Pd. Alle origini mi convinse Veltroni, poi certo ho sposato le idee di Renzi e rivendico con orgoglio quanto fatto dal suo governo, non rinnego nulla». Ma...

«Penso che il Pd non sia irrecupera­bile, penso che la leadership sia contendibi­le e penso che sia ancora possibile imporre una visione progressis­ta, riformista, liberaldem­ocratica. La battaglia si deve fare nel Pd, non fuori dal Pd. E poi c’è un altro aspetto: la scissione di Renzi perpetua la brutta abitudine per cui chi perde, se ne va. Lo fece anche la Ditta e per questo li abbiamo sempre criticati».

A proposito di Ditta: se torna, lei che fa?

«Io non personaliz­zo mai: Bersani, D’alema, Speranza, non sono loro il problema ma l’impostazio­ne che si dà al partito, gli obiettivi che si vogliono perseguire e l’azione di governo conseguent­e. Se rifanno i Ds è chiaro che io sarò a disagio. Io penso ad un Pd capace di rappresent­are il Nordest, l’area più dinamica del Paese, che creda ancora nelle riforme, nella possibilit­à di cambiare le regole di questo Paese. Zingaretti ha una grande responsabi­lità».

Ma allora ha ragione chi dice che siete solo «in sonno», pronti a fare le valige in un secondo momento...

«Io resto fedele alla mia idea di Italia. La palla ora passa a Zingaretti. Fino a nuovi sconquassi, lo ripeto, io sto dove sono».

I dubbi

È una scelta incomprens­ibile, non c’è neppure un valido pretesto

Il futuro Torna la Ditta? Il problema non sono i nomi ma le scelte politiche

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