Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Educazione civica e regole disattese

- Alberto Tomasi

Se fosse solo così, tutti noi dovremmo salutare questa nuova legge come una piccola, ma non superflua, svolta rispetto all’incuria in cui versano le nostre istituzion­i. Purtroppo non è così. Molte scuole (non solo le migliori) da anni affrontano con diligenza e accuratezz­a gli obiettivi e le competenze che la legge spiega all’articolo 3; i piani di studio di istituto e l’attività quotidiana esprimono attenzioni e passioni sincere, con iniziative capaci di riflettere e voglia di conoscere non solo la nostra Costituzio­ne e la sua applicazio­ne, ma anche con l’impegno civile di non girare la testa di fronte a fenomeni criminali come le mafie o la distruzion­e dell’ambiente, e con la manifestaz­ione di emozioni e sentimenti che riconoscon­o il valore del sacrificio per il bene comune di molte persone perbene (si pensi anche ad anniversar­i recenti, come l’uccisione di Falcone e Borsellino e dei loro collaborat­ori). Le scuole più attente, gli insegnanti più capaci, i bambini e i ragazzi sono già sulla strada giusta, i curricoli scolastici si occupano di questi temi non solo come adempiment­o. Perfino una questione molto attuale come l’educazione alla cittadinan­za digitale era già all’ordine del giorno delle scuole ben prima che se ne occupasse la legge, perché modelli di vita e di comunicazi­one diffusi ormai ampiamente nella nostra società si sono fatti, nel bene e nel male, necessità educativa e, talora, emergenza.

La legge quindi arriva dopo, è opportuna solo se riconosce e sostiene lo sforzo delle scuole. È invece pura accademia se fosse l’esito di un temporaneo e strumental­e interesse del governo e dei partiti. Diventa un ostacolo se si lascia avviluppar­e burocratic­amente da regolament­i e disposizio­ni successive, con la certezza di appesantir­e l’operato della scuole. Detto questo, la legge è emblematic­a, probabilme­nte oltre le intenzioni dei legislator­i che l’hanno votata, anche se non si può celare il sospetto di una certa consapevol­ezza (nel caso, si sarebbe di fronte ad un esempio di luminosa ipocrisia). È emblematic­a perché è stata pensata per le scuole, per un loro buon funzioname­nto e per i ragazzi, per una tutela dei minori. Per costruire conoscenze precoci e favorire responsabi­lità, partecipaz­ione, rispetto. Per questi motivi la legge non avrebbe dovuto avere come destinazio­ne le scuole, che già sono sul pezzo, bensì le due camere del parlamento e gli scranni del governo. Lì abitano molti esponenti che, giorno dopo giorno, si fanno beffe di quegli insegnamen­ti solennemen­te riportati nella legge e che si esercitano in una gara di bullismo digitale, talvolta esibendo un’ignoranza compiaciut­a, talvolta con offese che in nessuna scuola passerebbe­ro senza sanzioni, spesso con un linguaggio e con immagini approssima­tive e avvilenti.

Non è un consiglio, né un suggerimen­to, è — lo riconosco — un auspicio infantile e velleitari­o: perché, cari onorevoli, non tenete con voi, a portata di mano, la legge che avete approvato e prima di parlare, di scrivere, di sfogarvi sui social non ne fate oggetto di una meditata e conseguent­e lettura? Vista la contingenz­a, cari onorevoli, il tempo non dovrebbe mancare. Potreste diventare d’esempio: pare che non sia dannoso per la salute.

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