Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Mi chiesero di fare baciate, risposi che non si poteva Così mi spedirono in Sicilia»
«Le baciate a mio avviso, da codice civile, non si potevano fare. E dissi che non dovevamo farle. Infatti quando divenni direttore generale di Banca Nuova, nel 2012, quelle che ho trovato, meno di una decina e di importi limitati, le ho fatte subito smontare, chiudere tutte: non mi convincevano».
Racconta della sua nomea di «signor no» che lo aveva «protetto dalle pressioni da parte della capogruppo a fare quel tipo di operazioni» Umberto Seretti, sul banco dei testimoni all’udienza di ieri del processo per il crac di Banca popolare di Vicenza. Operazioni che però, ammette, non hanno mai segnalato all’autorità di vigilanza.
Assunto nel 1999 in Bpvi, per anni a capo della struttura crediti, nel 2008 Seretti venne esautorato da Paolo Marin. «Mi aveva anche sostituito come proponente delle pratiche al Cda, visto che con il mio atteggiamento potevo turbare qualcuno». Atteggiamento che avrebbe avuto un peso nel suo trasferimento in Sicilia. «Una punizione», ha ammesso. «Gronchi, all’epoca amministrazione delegato, mi aveva detto che il mio trasferimento era dovuto anche al fatto che ero rigido e poco flessibile sulla gestione del credito e troppo esplicito, sui profili di rischio delle operazioni da portare alla delibera. Incutevo timore nel Cda: davo fastidio, non ero allineato alla necessità del territorio che chiedeva affidamenti». È il 2005 quando, ai crediti, si trova sotto il naso le baciate, una lista per lo più «statica» quella che veniva fornita a Bankitalia - di 30-40 gruppi industriali, «grandi sottoscrittori affidati, con importanti pacchetti di azioni». E c’erano indicazioni di fare queste operazioni anche per clienti di Banca Nuova – la lista inoltrata da Marin - «alcuni anche in procedura concorsuale, quindi contro ogni logica». Tra questi il Gruppo De Gennaro «in grave crisi economica e sotto indagine: ho portato il mio rifiuto a Marin - spiega - era inaffidabile. Poi seppi che Bpvi gli aveva concesso affidamenti per 80 milioni». E se Marino Breganze era «un presidente di rappresentanza», Gianni Zonin invece «un presidente sempre presente, che però non conosceva l’operatività della banca: dinamiche, prodotti, attività creditizia». Con lui, Seretti spiega di non aver mai parlato di baciate.
Parla invece di «visite di cortesia» con l’allora dg Samuele Sorato e Zonin interessati alla forchetta di valore delle azioni, il professore della Bocconi Mauro Bini, per anni chiamato a valutare i titoli Bpvi, certificando anche i «famigerati» 62,5 euro ad azione. «Tutte valutazioni fatte in base a bilanci e piani certificati che mi venivano forniti da Bpvi» ha chiarito in aula.