Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Si ribella alle tradizioni Dodicenne spedito dal padre in Bangladesh
Vicenza, il baby-campione di scacchi: «Mi picchiano». Ma il genitore: «Ha subìto il lavaggio del cervello»
Un dodicenne cresciuto nel Vicentino ma di origini bengalesi, è stato rispedito da suo padre in Bangladesh - assieme alla madre e ai due fratellini - perché ritenuto troppo occidentalizzato. In un sms spedito a un amico, chiede aiuto. Per il padre, rimasto a Montecchio Maggiore, invece gli è stato fatto «il lavaggio del cervello».
Musharraf ha 12 anni, è nato e cresciuto a Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, e il mese scorso ha mandato un messaggio Whatsapp a un amico: «Aiutami, sono a Dubai e mi stanno portando in Bangladesh!». Poi, più nulla.
L’ultimo viaggio di questo ragazzino rischia di finire così, bloccandolo per sempre in un paesino dell’asia dove ora si trova con la madre e i suoi due fratelli più piccoli. Dalla fine di ottobre, è stato trapiantato nel Paese d’origine dei suoi genitori grazie a una scusa («Mi hanno detto che stavamo andando a fare una visita medica, invece mamma ci ha portati in aeroporto», ha confidato) e per una colpa che, agli occhi di suo padre, è imperdonabile: essersi ribellato alle tradizioni. «Non lo riconoscevo più - spiega l’uomo, rimasto solo nell’appartamento di Montecchio Maggiore - mio figlio era diventato irrispettoso, non faceva ciò che gli veniva detto. Un giorno è arrivato a mettere in dubbio l’esistenza di Allah, un’altra volta mi ha insultato. Purtroppo, me l’hanno rovinato...».
I genitori sono arrivati in Italia 23 anni fa ma - specie la donna - parlano ancora poco la lingua italiana e non frequentano gli altri genitori.
«Vogliono bene ai loro bambini, ma non sono in grado di accettare il fatto che stessero crescendo immersi nella cultura occidentale», spiega Giancarlo Bertola, ex vicino di casa della famiglia di Musharraf (il nome - vista la delicatezza del caso - è di fantasia) e padre di un ragazzino della stessa età. Forse, proprio per questo s’è preso così a cuore la sorte del piccolo bengalese. «Veniva a giocare con mio figlio, poi ha cominciato a confidarsi con me, a parlarmi di Eminem, dei cantanti della sua generazione, e di tutti quegli argomenti che in casa non poteva affrontare».
Bertola è diventato un punto di riferimento per il piccolo Musharraf e, inevitabilmente, il padre del dodicenne ha cominciato a vederlo come l’origine di tutti i suoi guai. «Quell’uomo gli ha fatto il lavaggio del cervello: ha plagiato mio figlio», assicura.
In realtà, Bertola non è il solo a preoccuparsi delle sorti del dodicenne: a Montecchio, le mamme e i papà dei suoi compagni di scuola si stanno battendo per riportarlo indietro e vorrebbero organizzare, tra due settimane, una fiaccolata attraverso le strade del paese. Con loro, sfileranno anche i giovani iscritti al locale circolo scacchistico, visto che il ragazzino è un campione di scacchi e ha vinto diverse gare nel Vicentino. I trofei, però, li teneva a casa di Bertola perché - diceva - i genitori non accettavano questa sua ostinazione a voler trascorrere il tempo libero in quel modo.
«Quando ritorno a casa, loro mi picchiano» si legge in un tema scritto a maggio. «È ingiusto essere maltrattati da tuo padre e da tua madre, subire insulti per ragioni sciocche o perché non appoggi la loro religione». In un altro scritto, di settembre, Musharraf racconta di quel padre che «ha iniziato a picchiarmi sulla testa, sulle braccia, sulla mascella e sulla schiena» e di sua madre che non è intervenuta a difenderlo «dandomi la colpa di aver fatto rumore».
La questione delle percosse che sostiene di aver ricevuto, è finita all’attenzione dell’unità operativa tutela del minore, che fa capo all’usl. «Gli assistenti sociali volevano portarmelo via - racconta il padre - e, con lui, volevano portarmi via anche gli altri due figli più piccoli. Per questo mia moglie li ha trasferiti tutti in Bangladesh. Ora lì sono al sicuro: li abbiamo salvati». È proprio questo il punto: basta parlare con questo manovale bengalese, vederlo commuoversi al pensiero della famiglia lontana 7 mila chilometri, per capire che è profondamente convinto di agire per il bene di Musharraf e dei suoi fratellini.
Per la sua cultura è inconcepibile che un adolescente metta in discussione le tradizioni e la religione, che «scavalchi» l’autorità di suo padre («Hanno iniziato a spuntargli i primi baffi, e un giorno se li è tagliati con l’aiuto del mio ex vicino di casa, senza neppure chiedermi il permesso», racconta ancora incredulo) o che arrivi a sfidare i propri genitori, come quando chiese loro se conoscessero la storia di Malala, la bimba pakistana che si è ribellata al radicalismo islamico dei talebani.
I tornei di scacchi, la musica rap, le uscite serali con gli amichetti del ricreatorio e, soprattutto, l’idea di proseguire negli studi e magari, un giorno, di laurearsi: tutte cose che per Musharraf erano importanti ma che sapeva osteggiate dalla sua famiglia.
Ora questo ragazzino cresciuto in provincia di Vicenza è in Bangladesh, e anche suo padre ammette di non sapere «se potrà mai più tornare in Veneto: qui è in pericolo».
I genitori dei suoi amichetti italiani, però non si arrendono: «Nessuno di noi desidera smembrare la loro famiglia, che va invece educata e accompagnata in un percorso di accettazione della cultura occidentale» è l’appello lanciato in queste ore. «Ma per prima cosa - dice Bertola, che ha scritto anche al presidente Mattarella - l’ambasciata italiana a Dacca deve fare tutto il possibile per riportare a casa lui e suoi fratellini».