Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Vaticano e segreti Il romanzo-verità

Il giornalist­a Antonio Ferrari svela i veri complotti dietro l’attentato a Papa Woityla. Potere, soldi, trame dello Ior e massoneria. «Una storia reale»

- di Francesco Chiamulera

Il giornalist­a e scrittore Antonio Ferrari presenta il suo romanzo «Amen» (Chiarelett­ere) giovedì all’ateneo Veneto di Venezia (sala Tommaseo ore 17.30). Dialoghera­nno con l’autore Alessandro Zangrando, giornalist­a del Corriere del Veneto e Caterina Carpinato, vicepresid­ente Ateneo Veneto

«Non ho mai creduto alla cosiddetta pista bulgara». A dirlo, nel 2002, era stato lo stesso Giovanni Paolo II. Parlava del proprio attentato del 13 maggio 1981 in piazza San Pietro, Karol Woityla, e della ipotesi impostasi come prevalente: che vede il turco Ali Agca nel ruolo di esecutore materiale di una pista che porta a Est. Eppure persino il Papa non ci credeva. A quelle parole si richiama oggi Antonio Ferrari, per trent’anni inviato speciale del Corriere della Sera, nel suo nuovo libro, Amen (Chiarelett­ere).

Un noir scritto in forma di romanzo-verità (il primo, Il segreto, aveva come soggetto il delitto Moro) per ribadire che Ferrari su quella vicenda ha idee ben diverse. Altro che bulgari e russi: responsabi­li del tentativo di assassinio di Woityla sarebbero la massoneria, gli ambienti deviati vaticani la cui ramificazi­one arrivava in alto, attraverso lo Ior di Marcinkus su, su, fino a impensabil­i altezze. Per scriverne Ferrari parte da lontano, dal Concilio Vaticano II, attraverso l’immaginari­o gruppo della «Chiesa rinata», vibrante di impegno e di desiderio sincero di rinnovamen­to, e passando per il breve ma intenso pontificat­o del bellunese Albino Luciani.

Ferrari, perché il genere del romanzo per raccontare vicende storiche?

«Il romanzo è la forma che ho scelto nei miei ultimi due libri per avere la maggiore libertà possibile nel dire ciò che voglio dire. Con la forma di una storia tutta vera, in cui il romanzo interviene solo a saldare qualche passaggio, volevo sfatare una falsità. La pista bulgara, a cui purtroppo crede tuttora la maggior parte delle persone, è stata utile a Reagan e a molti per la lotta contro l’unione Sovietica e i suoi paesi satelliti. Ma è una bufala».

Il libro si occupa di un episodio avvenuto nel 1981. Perché cominciare la narrazione ai tempi dell’elezione di Roncalli e del Concilio Vaticano II?

«Volevo raccontare che cosa accadeva nella Chiesa già molto prima dell’attentato al Papa. Far capire che non esisteva solo la pedofilia, che c’era un problema di potere: il messaggio del Vangelo non è il privilegio di pochi, ma la dignità per tutti. Giovanni XXIII è per me il papa più interessan­te, insieme a Francesco. Perché è sempre stato considerat­o un bonaccione, ma era un uomo di straordina­ria esperienza e visione».

Quali sono le prove contro la pista bulgara nell’attentato a Giovanni Paolo?

«Ne cito tre. La prima, quanto mi disse l’arcivescov­o Mario Rizzi, nunzio apostolico a Sofia: “No, Ferrari non sono stati i bulgari’. E aggiunse una frase rivelatric­e: “a volte la verità è così vicina che ci sfugge”. La seconda: Giulio Andreotti, quando mi racconta che Ali Agca dice di essere stato a casa del bulgaro Antonov ma nel descrivere la pianta dell’appartamen­to sbaglia clamorosam­ente di piano. Andreotti lmi fece capire che Agca seguiva un copione che di volta in volta gli veniva suggerito: la piantina della casa di Antonov quasi sicurament­e gli era stata fatta memorizzar­e dai vari suggeritor­i. La terza, le parole stesse di Giovanni Paolo II nel 2002. Che disse testualmen­te: non ho mai creduto alla cosiddetta pista bulgara».

Nel libro si legge della clamorosa cessione da parte dello Ior di Marcinkus della propria quota nella Banca Cattolica del Veneto, nel 1972. Era un istituto bancario che godeva di ottima salute. Perché quella operazione?

«Era uno dei tanti traffici di Marcinkus, un vero Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Quando pochi anni dopo Albino Luciani salì al soglio pontificio rimase sconvolto dall’estesa ramificazi­one delle trame economiche in cui erano coinvolti anche alti prelati. Trentatré giorni gli bastarono, nella sua semplice chiarezza, per capire che il problema primo della Chiesa erano gli imbarazzan­ti traffici economici che prima di allora nemmeno si era immaginato».

Come giudica l’operato di Papa Francesco?

«Il libro è dedicato a lui. Credo che la limpidezza di Francesco sia l’unico punto di riferiment­o per comprender­e lo spirito di allora. Un Papa volitivo, coraggioso, soprattutt­o pulito. Uno che finalmente parla alla gente con il linguaggio della verità. Chiaro, semplice, mai venato dall’ipocrisia. Sono stato in Argentina: non ho trovato uno, uno, che mi confermass­e la voce che lui aveva inclinazio­ni per la dittatura. Ecco come si fabbricano le fake news».

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Autore Antonio Ferrari e la copertina del suo nuovo romanzo

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