Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Espulsioni, una su due bloccata
Cavilli e mancanza di soldi: solo 700 stranieri su 1200 provvedimenti sono stati rimpatriati
Nell’ultimo anno 1227 clandestini hanno ricevuto il provvedimento di espulsione nel Veneto, ma solo 746 sono stati effettivamente espulsi. Il tutto su un totale di 19.321 stranieri irregolari, che si sono visti rifiutare lo status di rifugiato dalle commissioni prefettizie. «Espellere i clandestini è difficile — dicono i sindacati di polizia — i Paesi d’origine non li vogliono, il Veneto non ha un Cie e ogni rimpatrio costa dai tremila ai cinquemila euro. In più per ogni irregolare accompagnato alla frontiera, ne arrivano altri dieci». E anche se recidivi, continuano a restare in Italia.
Mauro oggi è il presidente di un Centro antiviolenza del Veneto. Prima era un poliziotto delle Volanti ma un brutto giorno si è ritrovato a processo perché una prostituta extracomunitaria, per evitare l’espulsione e relativo accompagnamento alla frontiera già disposto, lo ha accusato di averla costretta a un rapporto sessuale. Il sovrintendente della polizia di Stato è rimasto sotto processo per anni, è stato trasferito di reparto e dopo due gradi di giudizio ha visto riconoscere la sua innocenza. Assolto. Nel frattempo la prostituta è rimasta in Italia, con il permesso di soggiorno concesso a chi collabora con la giustizia, e prima della sentenza decisiva si è volatilizzata.
E’ solo una dei 19.321 clandestini transitati per il Veneto dal 2014 e ai quali, su un totale di 39.034, è stato negato il riconoscimento dello status di rifugiato dalle commissioni prefettizie. E allora sono diventati «fantasmi»: molti hanno cercato di raggiungere altri Paesi, qualcuno ha presentato ricorso contro la bocciatura ricevuta, tanti sono diventati manodopera della criminalità. E, non dichiarando alcuna identità o inventandosene sempre di nuove, continuano ad aggirare l’espulsione, aiutati dai vuoti normativi che qualche giorno fa hanno costretto i vigili di Venezia a rilasciare un tunisino irregolare arrestato per la seconda volta. E hanno consentito a un altro tunisino di collezionare, a Padova, 16 anni da clandestino, 40 furti e decine di spaccate. Risultato: dal primo agosto 2018 al 31 luglio 2019 solo 1227 stranieri irregolari sono stati raggiunti, in Veneto, dal provvedimento di espulsione, trasformato nell’accompagnamento al Paese d’origine per 746 di loro. Una goccia nel mare, che a livello nazionale si traduce in un 20% di rimpatri, contro il 78% della Germania. Ma perché è così difficile allontanare un clandestino?
«I motivi sono sempre quelli e li denunciamo da anni — spiega Michele Dressadore, segretario regionale aggiunto del
Sap — il principale è che spesso lo Stato d’origine non lo riconosce come proprio cittadino. Se la relativa ambasciata non emette il documento di viaggio per il rientro, non possiamo rimpatriarlo, perché poi non è permesso lo sbarco. E allora, una volta rimasto nei Centri di permanenza per il rimpatrio, ex Cie, il massimo di 180 giorni consentito dalla legge, torna in libertà». L’italia sta stringendo accordi con diversi Paesi, ma la maggioranza degli irregolari proviene da Stati con i quali non sono ancora stati siglati, quindi le espulsioni sono rare. Nell’ultimo anno solo il 5% del totale ha riguardato l’algeria, il 7% il Senegal, il 3% il Sudan, il 4% il Gambia. Per riassumere: mentre verso l’africa il dato si assesta al 15%, verso l’africa Subsahariana si dimezza al 7%. Insomma, se non sono costretti, tanti Stati non riprendono i loro cittadini, anche perché ogni immigrato dall’italia manda alla famiglia d’origine il denaro necessario a vivere. Secondo i dati di Banca Mondiale e Istat, ogni nigeriano invia 11.826 dollari l’anno; un marocchino 2.441; un egiziano 5.081; un senegalese 4.199; un tunisino 3.423; un ghanese 3.137. «E’ già difficile identificarli, anche perché in Veneto non esiste un Cpr e se non c’è posto in quelli del resto d’italia va rilasciato — aggiunge Dressadore —. In più molti domandano lo status di rifugiato, le cui pratiche richiedono due o tre anni di tempo. In caso di bocciatura, possono fare ricorso e passano altri due anni. Infine c’è il nodo dell’accordo di Dublino, che assegna allo Stato di sbarco del clandestino l’onere di espellerlo. Ma la nostra lentezza burocratica ci
impedisce di rispedire al mittente gli irregolari altrui».
Non va trascurato nemmeno l’aspetto economico: ogni rimpatrio costa dai 3mila ai 5mila euro, quindi tutti gli anni l’italia deve investire tra i 20 e i 34 milioni di euro, importo per il 2019 aumentato di 1,5 milioni dall’ex vicepremier Matteo Salvini. «E per ogni espulso, ne arrivano altri dieci — rivela Diego Brentani, segretario del Siulp Venezia —. Inoltre tre quarti degli irregolari che delinquono non sono espellibili, perché in possesso del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Quelli raggiunti dal provvedimento di allontanamento restano qui e anche se scoperti e arrestati quasi sempre vengono rilasciati per mancanza di posto nei Cpr o sul volo di rimpatrio o per gli altri motivi noti». E’ il caso di due tunisini, arrivati sui barconi 15 anni fa e poi scappati a Venezia. «Da allora spacciano e rubano, li abbiamo accompagnati ai Cpr di Torino, Milano, Genova, Roma, Palermo, ma la Tunisia continua a non volerli e ogni volta tornano indietro — racconta Brentani —. E poi ci sono i minorenni non accompagnati, come i tre 17enni giunti stanotte da Trieste, fuggiti da una comunità che non piaceva loro. Abbiamo il dovere di assisterli, ma dopo qualche giorno scappano, e vagano». Quando lo Stato d’origine dice «sì», ci si mettono i giudici: un ladro georgiano è stato «graziato» perché diabetico. «In Georgia non lo curerebbero, perché la sua non è considerata una malattia, quindi non è espellibile», la sentenza.