Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
SE LA RETE VELOCE VA A RILENTO
Gli esperti dicono che ormai la banda larga è una commodity, un bene primario, come la luce e il gas. È possibile vivere senza luce e gas? No. È possibile vivere senza banda larga? Sì. Volenti o nolenti. Perché alla faccia dei discorsi nei convegni, degli sbandierati piani di sviluppo, di tutti gli studi sulla competitività, la rete veloce rimane un sogno proibito per migliaia di cittadini. E di imprese. A San Antonio de los Cobres, 3.700 metri di altezza sulle Ande argentine, al confine con la Bolivia e il Cile, i bambini seguono le lezioni scolastiche via internet. In Italia, a partire dal Veneto, una delle regioni più industrializzate d’europa, le cose vanno diversamente. Lo ha appena denunciato Roberto Marcato, assessore regionale allo Sviluppo economico: i 440 milioni messi a disposizione nel luglio 2017 per portare la banda ultralarga anche nelle zone a fallimento di mercato hanno prodotto 480 progetti approvati ma appena 159 cantieri aperti e 46 con posa di fibra ultimata. Non basta: a oggi non risulta neppure un’utenza collegata, rispetto al milione di unità immobiliari da raggiungere (inclusi 3.756 edifici comunali). Open Fiber, la società compartecipata da Enel e Cassa depositi e prestiti chiamata a effettuare i lavori, porta dati leggermente diversi, ma ammette i ritardi. Dovuti, sostengono i top manager, a due cause principali.
Da una parte le pastoie burocratiche, le troppe competenze, i veti incrociati da parte degli enti chiamati a dare il beneplacito ai vari interventi sul territorio; dall’altra, la difficoltà nel reperire manodopera sul posto, quindi la necessità di chiamare squadre soprattutto dal Mezzogiorno. Siamo al surreale. Ma tant’è. Questa è l’italia. Anche quando si trovano le risorse emergono mille problemi che mandano le opere alle calende greche.
Nel marzo 2015 Matteo Renzi (all’epoca presidente del Consiglio) lanciava in pompa magna il Piano Ring, acronimo per Rete italiana di nuova generazione. Obiettivo: fare navigare entro il 2020 cioè l’anno che inizia fra pochi giorni - la totalità della popolazione a 30 megabit al secondo e l’85 per cento a 100 megabit, nel rispetto dei target dell’agenda digitale europea. Il traguardo, purtroppo, è molto lontano.
Secondo l’ultimo rapporto I-com (Istituto per la competitività), l’italia è al 15esimo posto in Europa per quanto riguarda le infrastrutture digitali e continua a perdere posizioni proprio per via degli ostacoli amministrativi e degli impedimenti burocratici. Se questa è la situazione a livello nazionale, il Veneto è il primo a pagarne lo scotto. Come si può parlare di Industria 4.0, di e-commerce, di smart working se interi comuni e fior di zone industriali non hanno (nemmeno) un collegamento internet accettabile?
Altro che concorrenza con la Baviera. Da quelle parti si sfreccia sulle autostrade digitali, noi viaggiamo ancora con il doppino. Il punto è che il futuro non si costruisce con le chiacchiere e le promesse, ma con gli investimenti fatti e finiti.