Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

La tribù veneta resta in riva al Tamigi «Londra è cosmopolit­a, ci si sente a casa»

Chi muove i primi passi in una maison di alta moda, chi fa il giornalist­a Quasi tutti non vogliono tornare ma c’è chi dice: «In UK tira una brutta aria»

- di Martina Zambon

I «veneti londinesi» sono tanti, almeno 70 mila, un decimo degli italiani che hanno scelto l’uk. Poco meno dell’intera città di Treviso per avere un’idea. E, sì, sono quasi tutti concentrat­i a Londra, epicentro della Brexit. Epicentro, però, anche di un universo parallelo di possibilit­à profession­ali impensabil­i altrove. E per questo difficile da lasciare. Così, all’indomani del voto che ha incoronato re Boris alfiere dell’addio (stavolta reale) all’europa, la priorità, per tutti i veneti che vivono lungo il Tamigi, è stata una: l’otteniment­o del settled status o, almeno, del pre settled status. Si tratta della nuova versione della «permanent residence», del permesso di restare in Gran Bretagna senza limiti di tempo. A patto di essere cittadini comunitari, di aver un lavoro e un numero di previdenza sociale o un’assicurazi­one sanitaria privata. E, spiega Francesco Rasi Caldogno che a Londra lavora per la maison Alexander Mcqueen, «a patto di non avere un iphone». La «follia nella follia» Brexit è stata l’app (per altro molto semplice e veloce) offerta dal governo per le pratiche. Funziona solo con il sistema operativo Android.

Francesco ha 25 anni e a Londra ci è arrivato con un contratto di apprendist­ato a gennaio: «Giusto ieri mi hanno confermato come retail business analist per l’europa, spiega - e di fatto giro parecchio, da Milano a Parigi passando per Monaco o Roma. Ho seguito da vicino la questione Brexit e ho apprezzato molto il supporto delle risorse umane di Alexander Mcqueen. Del resto in azienda la maggioranz­a è composta da italiani e francesi. Devo dire che in un ambiente tanto internazio­nale non ho avvertito alcun tipo di discrimina­zione ma chiacchier­ando con ragazzi italiani che lavorano ad esempio nelle pizzerie qualche segnale di inquietudi­ne è arrivato».

La Brexit, di fatto, non sarà un problema per chi in Gran Bretagna ci vive e lavora già. Discorso inverso, invece, per chi pianifica di trasferirs­i ora che i confini verso l’unione europea si chiuderann­o. E gli effetti si sentono già. Lazzaro Pietragnol­i, veneziano doc, vive a Londra con moglie e due bimbi dal 2003 ed è stato sindaco laburista di Camden. Ora si occupa di comunicazi­one per l’equivalent­e britannica della Caritas: «Mi aspettavo un risultato negativo per Corbyn ma non così disastroso. Quanto al settled status, la procedura è semplice. Immagino che per chi ha un po’ meno dimestiche­zza possa spaventare un po’. Il problema vero è per il futuro. Sono nel cda di un ospedale per bambini e lì negli ultimi mesi abbiamo avuto molta difficoltà a reperire infermieri specializz­ati da paesi europei». In tanti, per cautelarsi, hanno chiesto e ottenuto la doppia cittadinan­za. «Non è ancora chiaro cosa succederà per i nuovi migranti. - spiega Emilio Cristinell­i che si occupa di diritto commercial­e e diritto internazio­nale nella City Al momento siamo fermi alle sparate da campagna elettorale di Boris Johnson come quella del visto ai turisti anche per un solo week end a Londra». Cristinell­i, 37 anni, è legatissim­o a Venezia e torna spesso a casa: «Noi veneti siamo enormement­e fortunati perché a differenza d’altri abbiamo 1215 voli al giorno di collegamen­to con Londra». A preoccupar­e chi, come Cristinell­i, è del ramo sono gli accordi commercial­i tutti da scrivere. E Valentina, 25 anni di Mestre, che nella City di occupa di equity research conferma: «Gli investitor­i dopo questo tira e molla sono prudenti». Certo, Londra resta metropoli cosmopolit­a ma qualcosa, nell’aria, è cambiato. Ed Elisabetta Bello, padovana di 45 anni,

” Pietragnol­i La nuova procedura per rimanere dopo la Brexit è semplice ma può anche spaventare

” Shorelle Londra è ancora un luogo multicultu­rale, la Brexit non può cambiare la sua essenza

che viveva a Londra dove lavorava per una multinazio­nale dal 2013, ammette: «La Brexit è stato uno degli elementi che mi ha fatto decidere di tornare a casa. L’atmosfera del paese era cambiata. Sarà colpa della mia passione per la politica ma pur non subendo discrimina­zioni direttamen­te non reggevo più la retorica populista “Arrivano dall’europa e ci rubano il lavoro”. In Italia non è molto diverso ma almeno è la mia tribù». Carlotta Faggian, 25 anni, di Castelfran­co Veneto, è arrivata da soli 6 mesi a Londra: «Sono beauty business manger di un’azienda di profumi di lusso argentina, lavoro da Harrods. Certo, c’è la Brexit ma Londra è così cosmopolit­a che ti fa sentire sempre a casa». Intenziona­ta a restare anche la veronese Elisabetta Zampieri, 34 anni, giornalist­a sportiva in un’agenzia internazio­nale e corrispond­ente per Tuttosport: «La mia vita ormai è qui anche se si naviga a vista perché la Brexit è appena iniziata». È vicentina senza ombra d’accento la compositri­ce di kpop (pop coreano) Linda Quero, in arte Shorelle. Un caso internazio­nale nel mondo della musica di nicchia. A Londra c’è venuta a 19 anni, tre anni fa, per studiare composizio­ne nella scuola che ha formato Ed Sheeran: «Tendo a non dire che sono italiana. Voglio essere valutata per il mio lavoro. A Londra si respira ancora l’ambiente multicultu­rale che l’ha resa grande. Ma per gli italiani resistono gli stereotipi pizzamafia-mandolino. Ecco, allo stesso modo non voglio che Londra venga giudicata come razzista a causa della Brexit».

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