Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
UN DEBITO LASCIATO AI GIOVANI
Da tempo l’italia è entrata in un inverno demografico il cui significato è ben facile da comprendere. Il Veneto è una di quelle pochissime regioni in cui questo inverno non è ancora arrivato in pieno. Infatti il Veneto – insieme con Trentino, Emilia e Lombardia – ha registrato una crescita, sia pure modesta, della sua popolazione. Viceversa le altre sedici regioni italiane sono entrate in una fase di depopolamento. Nei primi otto mesi del 2019 (l’istat ha aggiornato i dati fino ad agosto) il Veneto è cresciuto di circa 1.650 abitanti, quando mediamente l’italia è invece dimagrita di quasi 110 mila abitanti. Certo, è un numero poco più che simbolico, che indica di fatto una stagnazione della demografia regionale. D’altronde è difficile aspettarsi di più, dato che la fecondità rimane abbondantemente sotto il livello di guardia, fissato dai demografi in 2,1 figli per donna: il Veneto presenta infatti una fecondità che non raggiunge la soglia di 1,4 figli per donna, conseguenza di un crollo delle nascite del 27 per cento negli ultimi dieci anni. Ed è comunque una fecondità dicotomizzata tra quella «di sicurezza» delle straniere (appunto 2,1) e quella preoccupante delle autoctone (solo 1,2 figli).
Ovvio constatare che il lento respiro demografico della regione viene solo dall’apporto migratorio, tanto è vero che il saldo migratorio complessivo ed in particolare quello con l’estero presentano valori più elevati di quelli di molte altre regioni italiane.
Detto questo vanno però sottolineate almeno due criticità. La prima è quella dell’emorragia sociale dei cosiddetti espatriati: secondo la Fondazione Migrantes il Veneto è la seconda regione italiana per espatri (specie da Treviso e Vicenza), dopo la Lombardia. Spesso tra i 18 e i 49 anni, i nuovi emigranti veneti sono ormai il 10 per cento dell’emigrazione italiana. Inutile sottolineare la centralità lavorativa e riproduttiva di questa fascia di età in uscita verso l’estero (curiosità non trascurabile: il Veneto è la regione da cui emigra il maggior numero di laureati in medicina).
La seconda criticità riguarda l’invecchiamento, che pur longevo trascina disabilità e patologie (si pensi alle demenze) di ben difficile gestione familiare. Non meraviglia quindi che da qui al 2055 il fabbisogno di badanti, per tre quarti straniere, crescerà in Veneto dell’80 per cento, in una regione in cui gli anziani sono già quasi un quarto della popolazione. Il cosiddetto indice di vecchiaia, oggi pari a 172, segnala che ci si sta avviando al rapporto di un giovane ogni due anziani. Con tutte le conseguenze immaginabili, come il fatto che ogni cento persone in età lavorativa ci sono quasi quaranta ultrasessantacinquenni, probabilmente in pensione. Sono i numeri del debito demografico che il Veneto sta caricando sulle spalle (troppo smilze) delle future generazioni.