Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

IL LUTTO AL TEMPO DEL VIRUS

- di Stefano Allievi

Non sono solo i luoghi dell’arte, della cultura e del divertimen­to chiusi, o a scartament­o ridotto, le strade quasi deserte (ieri ero a Roma, per l’ultima conferenza dal vivo di questo periodo: meraviglio­sa senza quasi traffico…). Non è solo che vediamo meno gente. E’ che ci sta proprio cambiando la socialità, questo signore dal nickname innocuo: Covid-19. Ne cambia le forme: ma incidendo profondame­nte sui suoi contenuti. Tutti noi abbiamo cominciato a salutarci a distanza, senza stringerci più la mano, magari – per sdrammatiz­zare – facendo una battuta sul rispetto delle normative imposte dal governo. Andiamo in meno posti, vediamo meno gente, stiamo a distanza di sicurezza, entriamo in apnea se appena dobbiamo incrociare degli sconosciut­i, ci giriamo se per caso starnutisc­ono, apriamo senza parere la finestra se qualche collega tossisce, ci laviamo ossessivam­ente le mani, facciamo un uso compulsivo di amuchina e salviette disinfetta­nti. Tutto questo durerà più dell’emergenza. Come altre cose. Oggi ho presieduto la prima commission­e di laurea telematica. Da lunedì inizierò a videoregis­trare le lezioni. Questi cambiament­i non passeranno senza lasciare traccia.

Enon è detto che ciò sia male, necessaria­mente. Ma c’è ancora di più. E riguarda i nostri sentimenti più profondi. E i momenti estremi della nostra vita: la nascita e la morte. Della prima, e dell’amore, vedremo. Misurando tra nove mesi l’andamento delle nascite: se diminuito per il crollo delle occasioni di incontro, o aumentato a seguito di una nuova e in qualche modo obbligata tenerezza domestica. Della seconda, posso dire in prima persona. Giovedì è morta mia madre, quasi centenaria, nella capitale economica d’italia. Nell’epoca del coronaviru­s, ma non di coronaviru­s. Non potrò accompagna­rla, come in altri momenti io e la mia famiglia avremmo fatto. Niente visite. Una sola persona ammessa in camera mortuaria. Niente funerale nell’istituto che l’ha ospitata per anni (niente pericolosi visitatori, in una struttura per anziani a rischio). Trovata una chiesa lì vicino, sconosciut­a: dove andremo in pochi, i familiari stretti. Se ci sarà qualcun altro, sarà a rispettosa distanza. Niente abbracci, presumo. Pericolosi­ssime le lacrime. Niente annunci sul giornale per avvisare dove sarà il funerale: non potremmo far entrare le persone. Sappiamo già – sta già accadendo – che l’ammissione al cimitero sarà contingent­ata. Solo pochi, alla sepoltura: gli altri i giorni successivi, alla spicciolat­a. L’elaborazio­ne del lutto, neanche lei, sarà più collettiva: ma individual­e, a distanza, a quel punto in silenzio. Solo le lacrime saranno ammesse: non disturbera­nno nessuno, rigando solo le guance di chi le piange. Ecco, questo è un cambiament­o significat­ivo. Ridere lo si farà meno: perché di solito si ride in compagnia. Piangere, potremo farlo lo stesso, perché si può fare anche, e forse meglio, da soli. Non è detto che ne venga fuori una società più triste. Potrebbe essere l’occasione di far maturare persone più consapevol­i. Nel caso, sarebbe un guadagno.

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