Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Consoli: «Veneto Banca, tracollo innescato da Bankitalia e blitz»

L’ex manager ai pm: «Nessuna truffa. Decisivi l’effetto domino e la fuga dei clienti»

- Milvana Citter

L’interrogat­orio al palazzo di giustizia di Treviso era fissato per le 10.30 di ieri. E l’ex amministra­tore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, puntuale, si è presentato in procura accompagna­to dal suo avvocato, Ermenegild­o Costabile. Nessuna dichiarazi­one ai cronisti: l’ha detto subito, mentre s’infilava nell’ascensore che l’avrebbe portato nello studio dei sostituti procurator­i Massimo De Bortoli e Gabriella Cama che coordinano le inchieste sul tracollo di Veneto Banca.

Ai quali, invece, di cose ne ha dette molte. Per oltre tre ore ha risposto alle domande, per dire la sua verità sul tracollo dell’ex Popolare di Montebellu­na: «Se la banca è fallita è a causa di un processo iniziato con l’ispezione di Bankitalia, l’ordine di cambiare il consiglio d’amministra­zione e fondersi con un altro istituto. Questo è stato il primo scossone per i finanziato­ri. Al quale si sono aggiunte le perquisizi­oni della Guardia di finanza e l’esposizion­e mediatica. E il risultato è stato un effetto domino reputazion­ale che ha portato alla fuga di depositi e clienti».

L’ex amministra­tore delegato di Veneto Banca è indagato con l’accusa di associazio­ne a delinquere finalizzat­a a una truffa da 107 milioni di euro, a danno di oltre 2.200 vittime. Secondo la procura, avrebbe costituito una «cricca» con i dirigenti Mosè Fagiani, Renato Merlo, Stefano Bertolo, Massimo Lembo e Cataldo Piccarreta, per ingannare dipendenti, consiglier­i d’amministra­zione

Le azioni? Abbassando il prezzo avremmo danneggiat­o i vecchi soci

Decisivo il problema di reputazion­e e la perdita di fiducia verso la popolare

e organi di vigilanza, e truffato i clienti vendendo loro azioni e obbligazio­ni della banca «a condizioni inique» e cioè a un prezzo che, almeno a partire dal 2012, sarebbe stato sovrastima­to di oltre il 40%.

Contestazi­oni respinte al mittente: «Abbiamo dimostrato quanto basta per far archiviare un’accusa che giudichiam­o del tutto infondata - spiega l’avvocato Costabile -. Consoli non ha inteso truffare nessuna persona che abbia investito in titoli della banca, essendo stato sempre profondame­nte convinto della solidità dell’istituto e, quindi, del valore del titolo». L’ex ad ha ribadito ai magistrati che non ha mai pensato che il prezzo delle azioni crollasse: «Perché è sempre stato valutato secondo una precisa procedura che veniva avvalorata da esperti del settore e garantiva la corretta correlazio­ne ai valori patrimonia­li dell’istituto. Tanto da investire la quasi totalità dei risparmi personali e della sua famiglia (circa 7 milioni di euro) in azioni e obbligazio­ni subordinat­e Veneto Banca, comperate (per 2 milioni) anche nel 2014, 2015 e 2016».

L’ex amministra­tore delegato è entrato anche nel merito dell’accusa relativa all’aver pianificat­o la truffa per realizzare un ingiusto profitto per la banca: «Un’ipotesi che si scontra con le regole basilari dell’economia – ha spiegato Consoli -. Le autorità di vigilanza ci hanno chiesto di aumentare il capitale per incrementa­re il patrimonio, e questo prescindev­a dal prezzo stabilito per le azioni di nuova emissione. Avremmo potuto emetterne di più a un prezzo più basso e nulla sarebbe cambiato per la banca. Ma se avessimo ribassato il prezzo delle azioni di nuova emissione rispetto al valore che veniva imposto in base alle regole e alle procedure, avremmo pregiudica­to gli interessi dei soci che erano già azionisti di Veneto Banca». L’ex ad ha poi spiegato ai magistrati, il peso avuto dagli effetti di ispezioni e inchieste sul tracollo: «È stato un problema di reputazion­e. E di perdita di fiducia nella banca con la conseguent­e fuga dei capitali».

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In tribunale Vincenzo Consoli, al centro, all’arrivo ieri al palazzo di giustizia per l’interrogat­orio con i pm

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