Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Covid, muore la prima dottoressa «Era già malata»
L’ordine ricorda e omaggia Chiara Filipponi, anestesista di Portogruaro. Sono saliti a quindici i decessi «legati» al virus (tre ieri) Il registro ufficiale si limita a rilevare la presenza del virus, non indaga il quadro clinico
Morire per il coronavirus e morire con il coronavirus. Una differenza quasi impercettibile sul piano della sintassi eppure enorme, oltre che per chi vive la tragedia della perdita di una persona amata, per la comunità scientifica impegnata a studiare una malattia fin qui sconosciuta, per la politica chiamata ad assumere decisioni conseguenti e spesso impopolari, per i media che svolgono la funzione di filtro con i cittadini in preda al panico.
Una questione controversa che sta assumendo importanza rilevante, nel bollettino quotidiano dell’emergenza: ieri, in Veneto, si sono registrati tre nuovi decessi, il che fa salire il conto complessivo dei morti «con positività al Sars-covid 19» a quota 15 (i contagiati sono cresciuti da 511 a 598; i ricoverati complessivi da 155 a 188; quelli in terapia intensiva da 39 a 46; le persone fin qui dimesse sono 29). Le vittime sono un padovano di 68 anni affetto da gravi patologie polmonari e oncologiche, un veneziano di 84 anni e l’anestesista Chiara Filipponi, 57 anni, in servizio da alcuni anni all’ospedale di Portogruaro, nel Veneziano. Secondo l’ordine dei medici Filipponi è la prima vittima fra i medici in Italia. «Purtroppo abbiamo notizia di molti colleghi delle zone rosse e del Nord Italia che si sono contagiati, alcuni di loro sono in gravi condizioni - ha detto il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Filippo Anelli -. Le Regioni devono essere trasparenti e dare indicazioni univoche ed efficaci per la protezione del personale sanitario che non deve essere abbandonato a se stesso ma messo in condizioni di sicurezza».
Parole che hanno spinto l’usl del Veneto Orientale a diramare una nota per chiarire che «il decesso è avvenuto per cause non determinate dal contagio da Covid-19. Era ricoverata da tempo ed è deceduta al termine di una lunga ed inguaribile malattia neoplastica».
Una vicenda che segue la complicata conta dei decessi a Treviso, 8 persone inizialmente indicate come vittime del coronavirus ma che una successiva nota dell’usl ha poi precisato essere sì pazienti affetti dal Covid-19 ma «anziani e con pluripatologie». E anche ieri, a margine della riunione con il governatore Luca Zaia, il direttore generale dell’usl Francesco Benazzi ha ribadito: «L’autopsia sulla prima paziente deceduta, Luciana Mangiò, ha confermato che non è morta di coronavirus. Un verdetto che a cascata si riverbera su tutte le morti successive. Il coronavirus provoca una polmonite che alla radiografia appare, in gergo tecnico, “a vetro smerigliato”. Se questa polmonite non è la prima causa della morte a mio avviso il decesso non può essere ascritto al Covid-19. È chiaro che se così fosse i numeri, in Italia ed in Europa, andrebbero rivisti».
La Regione nei report indica la positività al virus, non se questo sia la causa della morte. «I documenti - spiegano - vanno all’istituto Superiore di Sanità che ha l’ultima parola».