Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Alla Fondazione Coppola arrivano i big della pittura
Pittori contemporanei d’avanguardia: arrivano Schinwald e Samorì
Una «time capsule» nel centro berico che fa da ponte tra passato e presente. Lungo la cinta urbana medievale trionfa il trecentesco Torrione che nel 2017, in accordo con il Comune di Vicenza, diventa spazio espositivo dedicato all’arte contemporanea, sede della Fondazione Coppola.
Antonio Coppola, imprenditore del sud che da vent’anni vive e lavora a Vicenza, è un grande collezionista che ama soprattutto la pittura contemporanea. Ma non disdegna qualche incursione nel composito linguaggio visivo contemporaneo che mescola installazioni a videoarte.
L’anno scorso ha inaugurato il suo Torrione con i massimi esponenti della Scuola di Lipsia, Neo Rauch e Rosa Loy. Di fatto proponendo al pubblico una mostra colta e raffinata, non proprio grand publique.
A ruota è seguita «Le nuove frontiere del contemporaneo» dove a esporre sono stati chiamati Hannah Levy, Haroon Mirza, Christian Manuel Zanon, Guglielmo Castelli. Anche in questo caso una scelta che necessariamente alza l’asticella della proposta: «Negli artisti che colleziono – spiega Coppola – l’autenticità viene al primo posto». Nelle sue scelte il concetto di “linguaggio autentico” gioca un ruolo significativo che lo porta a fare scelte senza compromessi: «Potrei collezionare artisti che rientrano in canoni provvisori o in gusti convenzionali - ci spiega Coppola, il quale non ha mai venduto uno dei quadri della sua collezione – ma io continuo a scegliere quei dipinti che ingaggiano una lotta invisibile, che innescano un corpo a corpo tra l’opera e chi la guarda. Certo, un collezionista in generale ha bisogno di aggiungere opere e di seguire una tendenza. Io però nel collezionismo cerco altro. Qualcosa che vada al di là. Lo considero un’esercitazione: aggiunge valore al mio essere uomo, alla mia esistenza. Mi tiene vivo, perché l’arte è più grande di me».
Coppola è uno dei collezionisti che, investendo sui pittori contemporanei, permette loro di vivere continuando a fare gli artisti. L’importante è tenere accesa la fiaccola della pittura: «La pittura non morirà mai - ne è convinto - per il semplice motivo che è l’atto della rappresentazione visiva più vicina all’uomo. Ne è il mezzo più sublime e intimo. Senza togliere nulla alle altre pratiche artistiche, penso alla musica, al teatro. Però ci sono cose che l’uomo potrà sentire solo attraverso le immagini. Se si potesse dire tutto con le parole, la pittura non sarebbe possibile».
Per Coppola la pratica della pittura è un processo di «rivelazione». Per questo colleziona artisti ispirati e mistici come Nicola Samorì, Oscar Giaconia, Paola Angelini. E anche Nina Canell, Uri Aran, Mathias Weischer, così come ama i lavori di Wilhelm Sasnal. Sono tutti artisti che usano la pittura come un processo di disvelamento: oltrepassano la figura fino a far vibrare una verità intuita durante il processo creativo. E testimoniano anche il puro piacere estetico che Coppola nutre per il bello, la sua affinità con la pittura che va decisamente al di là del mero possesso.
«Per questi artisti – racconta ancora - dipingere un quadro può durare mesi. Tutti testimoniano quella coerenza compositiva che sarà evidente solo alla fine del loro lavoro». Coppola rifugge anche la trappola della narrazione. «Molto spesso restiamo intrappolati dalla tentazione di voler dare un senso al dipinto, ma la storia che pensiamo di leggere ci porta fuori pista. Il punto non è la storia ma la tensione che nasce. Più siamo attratti dall’immagine e più l’opera è grande».
La Fondazione Coppola ha grandi progetti per il futuro. È già pronta una mostra di Markus Schinwald che dovrebbe inaugurare il 13 giugno, se così non fosse slitterà a settembre. Schinwald è un eclettico artista austriaco che usa la pittura ma è anche videoartista e scultore. Mentre nel 2021 il Torrione ospiterà una personale di Nicola Samorì, riconosciuto tra i più grandi pittori contemporanei italiani.
Coppola
Il collezionismo mi tiene vivo, io cerco sempre qualcosa che vada oltre, autori che inneschino un corpo a corpo fra l’opera e chi la osserva