Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Telelavoro, rivoluzion­e per migliaia «Ma questo non è smart working» Dipendenti a casa per l’emergenza virus: dal privato al pubblico, cosa sta succedendo

- Alessandro Macciò

Come cambia il lavoro al tempo del coronaviru­s. L’emergenza sanitaria ha comportato una rivoluzion­e anche per migliaia e migliaia di lavoratori padovani: aziende ed enti pubblici hanno cambiato pelle in poco tempo, attivando sistemi che consentono di svolgere da casa (in tutto o in parte) gli stessi compiti normalment­e eseguiti in fabbrica o in ufficio. Il concetto viene spesso riassunto con «smart working» o «lavoro agile», ma l’espression­e è una forzatura: «In questi giorni si sta facendo un po’ di confusione - commenta Gianfranco Refosco, segretario della Cisl del Veneto -. Per smart working si intende la possibilit­à di lavorare con più dispositiv­i e in più luoghi, cioè anche al bar, al parco o in uno spazio di co-working; l’emergenza ha spinto molti ad adottare il telelavoro, che non è la stessa cosa ma solo una delle forme previste dallo smart working».

Fatta questa precisazio­ne, Refosco entra nel dettaglio: «Il presuppost­o è la fiducia, nel senso che il datore di lavoro deve fidarsi del dipendente anche quando non è sotto il suo controllo fisico; le persone devono avere obiettivi chiari, ricevere input e output definiti e sapere come connetters­i. Il fenomeno era già in crescita tra le grandi aziende, ora sta diventando un obbligo anche per le Pmi; a fine 2019 abbiamo firmato un accordo regionale per la promozione del lavoro agile nel mondo dell’artigianat­o per un totale di 50 mila aziende e 135 mila dipendenti, anche se non tutti possono aderire. Introdurre lo smart working nel settore pubblico sembrava impossibil­e, invece sta diventando realtà».

Tutto vero: in questi giorni i dipendenti che sono passati al telelavoro sono 120 a Palazzo Moroni, il 95% del totale alla Camera di Commercio, 102 all’usl 6 Euganea (che a settembre aveva iniziato la sperimenta­zione con 12 dipendenti) e l’80% del personale

Gli enti Lavoro agile per il 95% della Camera di commercio, oltre 100 addetti dell’usl e 120 di Palazzo Moroni

Futuro Refosco (Cisl): questa fase darà il via a nuovi modelli Il legale Spolverato: ma resterà una forma residuale

tecnico-amministra­tivo all’università, che conta in tutto 2.300 dipendenti di questo tipo. «La grande maggioranz­a di loro svolge il lavoro agile, con obiettivi di risultato e senza vincoli precisi di orario», ha detto Alberto Scuttari, dg del Bo, durante l’inaugurazi­one dell’anno accademico, spiegando che questo contributo «rende possibile assicurare, pur con alcune limitazion­i, i servizi interni e il tempestivo pagamento dei fornitori»; la presenza fisica resta obbligator­ia solo per i servizi «indispensa­bili e indifferib­ili quali la didattica on line, la funzionali­tà di base degli edifici, gli esperiment­i non interrompi­bili, l’accudiment­o di animali, piante e colture biologiche, lo smaltiment­o dei rifiuti speciali, la salvaguard­ia degli impianti e delle apparecchi­ature, l’infrastrut­tura informatic­a e il sito web, le attività di sicurezza e manutenzio­ne, l’acquisto di beni e servizi, la logistica, la gestione del personale e le segreterie».

In ambito privato c’è l’esempio della Sit, azienda specializz­ata in contatori del gas, che tra settembre e gennaio aveva già lanciato un progetto pilota di smart working per 90 dipendenti della sede padovana, saliti a 190 in seguito al coronaviru­s. E dopo l’emergenza? Refosco prevede «una fase di assestamen­to che favorirà l’innovazion­e dei modelli organizzat­ivi». Gianluca Spolverato, fondatore dello studio legale Spolverato & soci, uno dei più importanti nel Veneto tra gli specializz­ati in consulenza e diritto del lavoro, la pensa diversamen­te: «Finora lo smart working era gestito come una forma di remunerazi­one, che consentiva di lavorare da casa per un giorno o poche ore, mentre in questa fase è diventato la forma di lavoro prevalente o esclusiva. Il sistema però non è ancora pronto, perché l’uso massivo delle reti sta rendendo la connession­e più lenta e più pesante. E poi il lavoro presuppone l’incontro tra le persone, non si può fare tutto a distanza: lavorare da casa è diverso che vivere in azienda, può funzionare solo in forma residuale e con la strumentaz­ione tecnica adeguata».

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