Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
FIDUCIA PAURA E ANNUNCI
La fiducia, la paura e la politica degli annunci Sono necessari i trattori destinati all’export? L’occhialeria rientra nei supporti medici essenziali? Chi cerca di «rientrare» e chi si arrende. Tutti i nodi
In una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo (e che purtroppo non si prospetta breve), la risorsa più importante, la moneta più preziosa, è la fiducia. In questo momento i dati ci dicono che la fiducia dei cittadini nelle istituzioni che stanno gestendo la crisi è piuttosto elevata: quasi il 70% si affida in prevalenza alle indicazioni di fonti ministeriali e regionali e dei medici di base (Fonte: Osservatorio Scienza e Società Observa).
Oltre tre cittadini su quattro valutano positivamente l’operato della Protezione Civile e due su tre valutano positivamente quello della propria Regione o Comune di residenza. Certo, c’è ancora una minoranza diffidente, poco informata e che tende a minimizzare la portata della minaccia, ed è su questa parte del pubblico che andrebbero concentrati tanto gli sforzi comunicativi quanto la vigilanza sul territorio. In generale, però, un obiettivo fondamentale è mantenere salda questa fiducia e se possibile alimentarla ulteriormente. A questo scopo non giova certamente una «politica degli annunci» in cui ogni potenziale decisione è preceduta da ipotesi, valutazioni e perfino minacce e poi comunicata senza la necessaria chiarezza. Lo si vede in questi giorni con il Decreto del Presidente del Consiglio che sospende le attività produttive «ad eccezione di quelle essenziali». Annunciato a tarda sera su Facebook (!), ha lasciato durante il fine settimana nell’incertezza migliaia di aziende e lavoratori e continua a lasciare ampi margini di ambiguità su quali siano precisamente le attività funzionali alle filiere produttive essenziali (ambiguità che dovrebbe essere risolta, secondo il decreto, dai Prefetti). Stesso discorso vale per la riduzione delle corse dei mezzi pubblici o degli orari di apertura dei supermercati. Se si è ragionevolmente certi che serva a mantenere le distanze tra le persone (e non rischi invece di aumentare l’affollamento), va stabilito in modo chiaro e possibilmente uniforme. Altrimenti si rischia di provocare preoccupazione, sfiducia e perfino assalti ai supermercati. Abbiamo già visto quello che è successo quando la limitazione dei movimenti è stata incautamente annunciata in anticipo, provocando massicci spostamenti da Nord a Sud. Anche il rimpallo di competenze tra enti locali e nazionali genera confusione tra i cittadini. Se ulteriori misure restrittive sugli spostamenti sono prerogativa degli enti locali, le si metta in atto, possibilmente in modo coordinato. Se può farlo solo lo Stato, glielo si chieda per le vie istituzionali e non davanti alle telecamere. Infine, attenzione ai messaggi fondati sulla paura, quello che tecnicamente si chiama «fear arousing appeal»: ad esempio, mostrare immagini strazianti di malati o cortei funebri per indurre a comportamenti più prudenti. Centinaia di studi sulla comunicazione del rischio ci dicono che è un’arma da utilizzare con saggezza e moderazione. In sostanza, funziona «a piccole dosi» ma se si esagera c’è il rischio che le persone si voltino dall’altra parte. L’indifferenza con cui i fumatori continuano a comprare pacchetti di sigarette con immagini spaventose ne è purtroppo la conferma. Nel lungo periodo, e purtroppo l’orizzonte che ci si prospetta è di lungo periodo, solo la fiducia può sostenere decisioni difficili da parte delle istituzioni e sacrifici da parte dei cittadini.
Aziende con un codice Ateco idoneo a proseguire la produzione ma che non possono farlo perché non arrivano più componenti, materie prime oppure ordini. Industrie che dovrebbero chiudere ma che trovano l’espediente per far rientrare il proprio business come funzionale a una filiera essenziale. E montagne di richieste che stanno per sommergere le prefetture, alle quali spetta di decidere se chi vuole tenere gli impianti attivi abbia ragione o intenda, invece, forzare la mano.
Per quanto dettagliato e ricco di distinguo, l’elenco dei 97 codici (quelli che configurano l’attività caratteristica di ciascuna azienda nelle liste delle Camere di commercio) allegato al Decreto del presidente del Consiglio di domenica e che indica quali categorie di imprese possano essere escluse dal fermo totale imposto dalla norma stessa, è visto da più parti come troppo equivoco.
Un esempio che vale per tutti è quello della metalmeccanica e giunge dalla Fiom Cgil regionale. In Veneto, nel solo ambito industriale, operano 270 mila addetti in 11 mila aziende, almeno 4 mila delle quali hanno titolo per rimanere in attività. «Se lo spirito della legge è limitare al massimo lo spostamento delle persone e dovendo ciascuno di noi non allontanarsi da casa per più di 200 metri nel tempo libero – riflette il segretario generale, Antonio Silvestri – è possibile che ci siano così tante lavorazioni davvero essenziali?».
Il fronte più caldo della metalmeccanica è nel Padovano, dove ieri i 600 lavoratori coinvolti nel caso più brillante di contraddizioni, la Maschio Gaspardo, di Campodarsego, hanno incrociato le braccia. È vero che dal fermo sono esclusi i fabbricatori di macchine per l’agricoltura (codice 28.3), ma che senso ha oggi, si chiede il sindacato, fabbricare attrezzature per trattori che saranno esportati per il 90% all’estero?
Per questa ed altre circostanze simili, oggi l’intera metalmeccanica delle province di Padova e di Rovigo sarà in sciopero. Un’altra ambiguità
evidente sta nell’occhialeria. Il sindacato, con una lettera alle prefetture, segnala il «difforme comportamento nella regione delle aziende di fabbricazione di armature per occhiali di qualsiasi tipo» e chiede che il punto sia chiarito. La Filctem Cgil di Padova ha proclamato ieri alla Sàfilo una giornata di sciopero perché «l’azienda ha deciso di procedere con la propria attività produttiva seppure la stessa non sia elencata tra quelle da considerarsi come ‘essenziali’». Non è d’accordo l’anfao, l’associazione di categoria aderente a Confindustria, secondo la quale «le aziende manifatturiere dell’occhialeriarientrano nel codice Ateco 32.50 (fabbricazione di strumenti e forniture mediche e dentistiche, ndr) e, quindi, tra quelle produzioni non sospese dal decreto».
La Safilo ha in ogni caso già chiesto al prefetto di poter proseguire l’attività, attivando la Cig a rotazione per quel 30% di operatori non in smart working. Andiamo all’edilizia. Le operazioni stralciate dallo stop di legge riguardano i cantieri su infrastrutture pubbliche o di pubblica utilità, come strade, ponti, ferrovie, ospedali eccetera. «Chi produce calcestruzzo – è il dubbio che si pone Zelio Pirani, direttore di Ance Treviso – come può sapere se lo stesso non sarà utilizzato da un costruttore cliente per ristrutturare una casa privata?». Al netto del fatto che già molti cantieri si sono fermati da soli, non fosse altro per non poter garantire pasti caldi ai lavoratori data la serrata di trattorie e ristoranti.
La Cna del veneto calcola in 40mila le imprese che potrebbero sospendere l’attività da giovedì. Per il presidente, Alessandro Conte, «i dubbi sull’interpretazione del testo rendono complicato agli imprenditori adeguarsi in una situazione già critica. Prima la salute ma le istituzioni ci supportino». Non manca, infine, il disorientamento, tra gli impiantisti. Il caso portato dal direttore di Casartigiani di Treviso, Salvatore D’aliberti, è quello degli idraulici. «Possono lavorare regolarmente, perché giustamente si è pensato che i cittadini possano trovarsi di fronte ad un’emergenza. Ma il decreto non si preoccupa dell’approvvigionamento del materiale necessario all’intervento perché obbliga i grossisti a rimanere chiusi e raramente i piccoli hanno scorte adeguate».