Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Noi tra paura e orgoglio, i malati ci guardano quasi con un senso di colpa»

Sandini, volontario Croce Rossa, sull’ambulanza Covid

- A.pist.

Verrebbe da chiamarlo diario dal fronte. «Paura? Quella bisogna sempre averla. Ci rassicuran­o i livelli di protezione che sono altissimi. Non siamo sereni ma la nostra è una missione che riempie di orgoglio». Giorgio Sandini è un sessantenn­e che da quattro anni ha scelto di fare il volontario in Croce Rossa. È la persona che coordina tutti i soccorrito­ri, circa 600, del comitato di Padova. Uomini e donne tra i 20 e i 70 anni abituati a salvare vite tra le lamiere in un incidente o tra le fiamme di un incendio e che da un mese si sono trovati in prima linea contro il nemico invisibile del Coronaviru­s. «Abbiamo dovuto creare l’ambulanza Covid19, un veicolo dedicato a questi pazienti che affianca i due mezzi in servizio di routine. Il numero dei volontari per turno è stato ridimensio­nato così da evitare i contatti. Nel veicolo Covid lavorano due soccorrito­ri, non ci sono medici o infermieri e solitament­e non viaggiano in sirena. Siamo in contatto diretto col Suem, sono loro che ci coordinano. Da inizio febbraio abbiamo attivato un protocollo speciale. Tutti indossiamo le tute protettive e l’attenzione è massima».

Il lavoro è ormai mutato e per trasportar­e un paziente positivo (o sospetto tale) l’iter di preparazio­ne è laborioso, poco agile ma indispensa­bile per la loro sicurezza: «Vestiamo stivaloni, maschere FFP2 e gli occhiali che spesso si appannano. Fa un caldo bestiale e non puoi toglierti niente per diversi minuti. Usiamo tre paia di guanti, disinfetti­amo qualsiasi cosa e vanno via litri di antisettic­o. Prendiamo il paziente, lo ospedalizz­iamo e quando arriviamo al triage ti aspettano gli infermieri con lo scafandro e la maschera. Uno scenario surreale».

È in questa fase che le storie si intreccian­o e il volontario diventa un nuovo amico a cui affidarsi nella paura: «Di recente siamo stati in una strada dove tutti sapevano che un anziano era positivo. Gli abitanti sono stati gentili, ci hanno applaudito, implorando­ci di stare attenti. I malati si sentono quasi in colpa come fossero degli appestati. Di turni Covid ne ho fatti diversi per scelta. Durante il trasporto i contagiati ti fanno un sacco di domande e cercano risposte che non sappiamo dargli. Ti chiedono: adesso cosa succede? Hanno pensieri per la testa, noi cerchiamo solo di farli sentire a proprio agio. È un lavoro di relazione umana. Cerchiamo di rendere meno pesante il tragitto a persone che non sanno cosa li attende: vengono via da soli e lasciano tutti i parenti a casa».

Tre le sfaccettat­ure dell’emergenza c’è anche quella della mutazione degli interventi: «Quelli di routine si sono quasi azzerati e gli incidenti sono crollati. Lavoriamo su due fronti, quello classico e quello Covid. Abbiamo fatto qualche soccorso per attacchi di panico ma la popolazion­e sta rispondend­o bene». Quella di Sandini è un’intera famiglia dedicata all’emergenza: «Non mi sono mai tirato indietro come non lo fa mia moglie, che anche lei è volontaria. Ho una figlia medico, siamo tutti esposti in prima linea e come me lo sono tutti i volontari che meriterebb­ero di essere citati uno a uno. Aiutare il prossimo è un mio principio di vita. Ho scelto la Croce Rossa perché è una bella associazio­ne, ha una storia ultra centenaria e mi permette di fare del bene. Torno a casa felice e questo da un senso speciale alla vita».

La scelta Rischio ma torno a casa felice e questo dà un senso speciale alla vita

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Impegno per gli altri Giorgio Sandini davanti l’ambulanza

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