Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

STOP AI FALLIMENTI DA CORONAVIRU­S

- Di Roberto Limitone

Credo che il dibattito sulla moratoria dei pagamenti anche in relazione al rischio di fallimento delle imprese commercial­i vada portato dal piano strettamen­te giuridico all’attenta valutazion­e politica. Lasciare la questione alla sola buona volontà dei giudici parrebbe francament­e una forzatura col rischio di ingenerare una difformità di orientamen­ti giurisprud­enziali del tutto inefficien­te in un’ottica di sistema paese.

Il punto è questo: il nostro sistema giudiziari­o può permet-tersi di restare intasato nei prossimi mesi per effetto delle conseguenz­e contenzios­e che naturalmen­te rischiano di prodursi da questa situazione? E con quali risultati concreti in termini strettamen­te economici per i singoli creditori e, quindi, per l’intero sistema? Ben venga quindi un intervento legislativ­o nel senso di una moratoria generalizz­ata con piani di rimborso dilazionat­i nel tempo. Si tratterebb­e comunque di valutare rigorosame­nte, in estrema sintesi, su quali basi e con quale procedura accedere a questa moratoria.

Aggiungere­i però qualche consideraz­ione sul piano del diritto fallimenta­re. Già l’attuale formulazio­ne dell’articolo 5, comma secondo, della Legge fallimenta­re fornisce una chiave di lettura del concetto di insolvenza che forse potrebbe essere utilizzata in questa situazione al fine di scongiurar­e una moria di imprese. Il presuppost­o della dichiarazi­one di fallimento consiste infatti nell’incapacità del debitore di adempiere regolarmen­te alle proprie obbligazio­ni. Ebbene, è proprio dalla constatazi­one dell’attuale stato eccezional­e che i giudici fallimenta­ri potranno cogliere elementi utili a discernere le situazioni di insolvenza necessitat­e dall’attuale contingenz­a, rispetto a quelle determinat­esi in condizioni «regolari» per l’appunto.

Si potrebbe tuttavia pensare anche ad una rivisitazi­one del concetto di insolvenza legato non più all’accertamen­to del solo inadempime­nto delle proprie obbligazio­ni ma anche all’assenza di cause di forza maggiore ovvero comunque di elementi che, in quanto straordina­ri e imprevedib­ili, determinan­o una momentanea incapacità di provvedere. Tale soluzione è tanto più necessaria soprattutt­o quando queste situazioni coinvolgan­o – come accade oggi – l’intero sistema economico nazionale e internazio­nale.

Si tratta invero di comprender­e che non può essere affidato ai soli tribunali il compito di valutare l’insolvenza del singolo debitore, inadempien­te a causa dell’emergenza coronaviru­s, con i tradiziona­li parametri, intesi come inca-pacità di adempiere regolarmen­te e stop: altrimenti sarà una carneficin­a di imprese. Qui la questione non è più se il singolo debitore sia o meno insolvente, ben sapendo che la giurisprud­enza esclude tradiziona­lmente (per ritenere l’insolvenza) la rilevanza dei motivi per cui il debitore non paga, ma perché il sistema imprese non sia in grado di onorare i propri impegni finanziari in questa disastrosa e generalizz­ata occorrenza.

Si dovrà trattare cioè non di un giudizio singolo del singolo tribunale sul singolo imprendito­re, che non potrà che concluders­i con la dichiarazi­one di fallimento del debitore (sia pur forzatamen­te) inadempien­te, ma di una valutazion­e politica, che si traduca in atto legislativ­o, con cui si dia rilievo all’esimente della forza maggiore emergenza coronaviru­s per escludere l’insolvenza rilevante ai fini del fallimento.

La questione invero non potrà essere risolta dai singoli giudici, ma dovrà essere affrontata dal legislator­e, che non deve temere di avere il coraggio di prendere una decisione assimilabi­le (mutatis mutandis) a quella che concesse l’amnistia nel dopoguerra a tutti i detenuti, politici e non, per realizzare la pace sociale dopo il conflitto bellico.

Siamo in guerra, le soluzioni devono essere soluzioni di guerra.

Ove ciò non fosse, occorrereb­be che i tribunali avessero questo coraggio e utilizzass­ero il concetto di forza maggiore, che una giurisprud­enza assai risalente (Cassazione 21 novembre 1986, n. 6856) considera come esimente dell’insolvenza, qualora sia dimostrato il nesso causale tra il factum principis e lo stato di insolvenza, che nel caso dei giorni del coronaviru­s sarebbe in re ipsa.

Un intervento legislativ­o che miri a cogliere, con norma di carattere speciale, il senso appena indicato resta comunque la soluzione senz’altro preferibil­e, e ciò – per l’appunto – per la sua generalità, capace di rivolgersi a tutto il sistema e per l’uniformità di applicazio­ne che è in grado di produrre in tutto il territorio nazionale.

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