Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Via al test col sangue dei pazienti guariti
L’ospedale di Padova inizia il reclutamento dei donatori «Cura efficace nei casi critici» A casa anche il Remdesivir
Venerdì sera è arrivato l’ok, ora a Padova può iniziare la sperimentazione relativa all’utilizzo del sangue dei pazienti guariti per curare quelli malati.
Si parte. Dopo l’autorizzazione VENEZIA concessa nei giorni scorsi dall’istituto superiore di Sanità e l’approvazione del relativo protocollo firmata dal Comitato bioetico dell’ospedale, venerdì sera è arrivato il via libera definitivo dal Centro nazionale Sangue e quindi ora a Padova può cominciare la sperimentazione relativa all’utilizzo del plasma dei pazienti guariti dal coronavirus Covid19 per curare gli altri malati. Domani iniziano le procedure: il Centro trasfusionale diretto dalla dottoressa Giustina De Silvestro riunirà il gruppo di lavoro avviato con i colleghi del Laboratorio di Microbiologia guidato dal professor Andrea Crisanti e con i clinici del reparto di Malattie infettive coordinato dalla dottoressa Annamaria Cattelan, delle Terapie sub-intensive gestite dal dottor Andrea Vianello e delle Terapie intensive, affidate al professor Paolo Navalesi e al dottor Ivo Tiberio. Il primo passo è il reclutamento dei donatori volontari, pazienti guariti dall’infezione a cui sarà chiesta la disponibilità a far parte del progetto.
«Essendo assimilabili ai donatori di sangue, sono soggetti alla stessa normativa, che prevede la selezione di persone di età compresa tra 18 e 60 anni, non colpite da malattie ereditarie, nè da pregresse neoplasie, alterazioni metaboliche non correggibili, cardiopatie o ipertensione grave — spiega la dottoressa De Silvestro —. Per essere ammessi alla donazione si sottoporranno agli esami del sangue di rito, perché dobbiamo essere sicuri che il loro organismo non contenga sostanze nocive per il ricevente. Dopodiché il Laboratorio di Microbiologia appurerà se nel sangue ci siano gli anticorpi contro il Covid-19 e in quale concentrazione. Perché la sperimentazione sia efficace bisogna infatti utilizzare solo il plasma che ne contenga un determinato numero, definito quantità-soglia». Si tratta di una prassi ammessa dall’organizzazione mondiale della Sanità, consolidata nella cura di Sars ed Ebola e già utilizzata dai cinesi a Wuhan, focolaio originario dell’infezione ora diventata pandemia. E proprio la delegazione di cinesi rimasta due giorni in visita in Azienda ospedaliera a Padova ha illustrato questa tecnica ai medici veneti, che la somministreranno in combinazione alle terapie farmacologiche già in uso.
«I riceventi saranno pazienti con forme severe dell’infezione o rapidamente progressive — illustra la dottoressa De Silvestro — da trattare però prima che la malattia evolva in uno stadio molto grave, perché nella fase precedente questa terapia si é rivelata più efficace». Saranno reclutati degenti delle Malattie infettive e delle Terapie sub-intensive, più qualche ricoverato nelle Terapie intensive nel quale non si sia consolidato un danno grave. Il Laboratorio di Microbiologia sta mettendo a punto i test per verificare appunto la quantità di anticorpi nel plasma dei donatori volontari, il protocollo è stato definito e quindi la sperimentazione potrebbe partire nel giro di una settimana. Oltre al policlinico
Giustina De Silvestro Dobbiamo reclutare i donatori volontari. Il loro plasma servirà a trattare casi critici nei quali però l’infezione non abbia ancora causato danni gravi
di Padova, coinvolge un solo altro centro in Italia: l’ospedale San Matteo di Pavia. In attesa dei primi risultati nel nostro Paese, una casa farmaceutica giapponese, Takeda, sta sviluppando un farmaco che contiene parti del sistema immunitario prelevate dal plasma dei guariti dal Covid-19.
E non è tutto. Venerdì il Comitato tecnico scientifico regionale ha approvato, ottenuto il nullaosta dell’agenzia italiana del farmaco, la somministrazione a domicilio e nelle case di riposo del giapponese Avigan, del Tocilizumab (nato a contrasto dell’artrite reumatoide) e del Remdesivir (antiebola), già in uso con buoni risultati negli ospedali veneti. E di altre formulazioni nate per curare malaria e Hiv, cioè clorochina e idrossiclorochina, Lopinavir, Ritonavir, Darunavir e Cobicistat. «La filosofia è trattare a casa i pazienti all’inizio della malattia, che respirano autonomamente, per evitare l’ospedalizzazione — dice il governatore Luca Zaia —. Stiamo scrivendo le linee guida, le
Luca Zaia Si allunga la lista dei farmaci che soggetti all’inizio della malattia, in grado di respirare in forma autonoma, possono assumere a casa. Evitando il ricovero
avremo nel giro di due giorni e stabiliranno anche quali soggetti coinvolgere. All’operazione partecipano i medici di famiglia». Che controlleranno la somministrazione dei farmaci, affidata agli infermieri dell’adi (Assistenza domiciliare integrata) e a neolaureati e specializzandi inseriti nelle nuove Unità speciali di continuità assistenziale in allestimento da parte delle Usl (un centinaio in tutto). «La prossima settimana si annuncia come una delle peggiori dall’inizio dell’epidemia e sarà determinante per capire la direzione della curva dei contagi — avverte Zaia —. Ci indicherà se si stanno impennando anche per motivi non noti. Siamo indietro di 4-5 giorni rispetto ai modelli matematici, ma la situazione è ancora critica».
Ieri il Veneto, seppur rallentando un po’, ha accumulato altri 450 casi confermati (per un totale di 8100) e 36 morti, che salgono a 378. Notizie positive i 708 dimessi e i 95 nati. Per combattere l’ansia della gente, il servizio regionale «Inoltre» sta predisponendo équipe di psicologi nelle Usl e negli ospedali, a sostegno di medici e infermieri.