Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Una patente d’immunità «Al lavoro solo dopo il test» Il caso della ri-contagiata
Per adesso è l’unico caso noto in Italia di paziente guarito dal Covid-19 che si è riammalato e desta una certa preoccupazione. Una signora cinese residente a Milano, avvertendo i primi sintomi sospetti aveva scelto di farsi ricoverare all’ospedale «Sacro Cuore» di Negrar, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico per le malattie infettive e tropicali, e dopo una settimana di degenza era guarita. Lo avevano certificato due tamponi negativi effettuati a distanza di 48 ore l’uno dall’altro. Ma dopo due settimane i sintomi sono tornati e la signora è di nuovo degente in Malattie infettive a Negrar, positiva al coronavirus. «Non è in condizioni critiche — avverte il primario, professor Zeno Bisoffi — rientra in una casistica rara, rilevata anche a Wuhan, il focolaio originario della Cina dal quale si è diffusa la pandemia. La comunità scientifica non sa ancora se l’immunità al Covid-19 sia duratura e se esistano due ceppi diversi, lombardo e veneto, del virus. Può anche essere che il test non sia affidabile al 100% e non rilevi una carica virale molto bassa».
E allora la Regione sta pianificando anche il «dopo». «Dovremo pensare a un’uscita dall’emergenza come a un soft landing, un atterraggio morbido, per riprendere le normali condizioni di vita — conferma il governatore Luca Zaia —. Una delle soluzioni sulla quale stiamo lavorando è il test sierologico, cioè l’analisi del sangue che consente di vedere se nei malati guariti si siano formati gli anticorpi. Potremmo dare una “patente” che attesti quali soggetti abbiano sviluppato l’immunità alla malattia». Il progetto, in partenza, si basa su un test cinese validato dalle Università di Padova e Verona che verifica quanti anticorpi protettivi ci siano nella popolazione. «Sono in arrivo 752 mila test rapidi, che in 15 minuti ci dicono se un paziente sintomatico ha sviluppato gli anticorpi», spiega Zaia. Si inizia con un blocco di 100 mila sugli operatori sanitari del Sistema pubblico e delle case di riposo. Una volta rilevata la percentuale di immuni al Covid-19, si passerà allo screening sui lavoratori delle categorie produttive, come sta pensando di fare la Lombardia.
Coloro che avranno nel sangue gli anticorpi, potranno tornare a lavorare. E lo stesso vale per medici e infermieri. Gli industriali sono così entusiasti di fronte alla prospettiva di veder ripartire l’economia che si sono detti disponibili a pagare i test per i loro dipendenti. A scalare, si passerà al resto della cittadinanza, per verificare se si sia creata o meno l’immunità di gregge. «Dall’inizio dell’emergenza, datata 21 febbraio, abbiamo eseguito 99.588 tamponi — aggiunge il presidente del Veneto — ce ne sono 6 mila in attesa di essere testati a Padova perché mancano i reattivi. Ne facciamo 11 mila al giorno, vorremmo arrivare a 20 mila, se trovassimo il materiale sul mercato». Ma siccome scarseggia, nei momenti critici il piano B prevede di effettuare 3 mila tamponi e 7 mila test rapidi. Tenendo però ben presente la differenza evidenziata da scienziati e produttori: i tamponi hanno un’alta affidabilità, sono in grado di rilevare anche una carica virale molto bassa, quindi finché non se ne troverà un’adeguata quantità sul mercato saranno riservati ai casi sospetti e agli asintomatici. I test, iniziati ieri su 200 operatori sanitari di Treviso, sono da 2 a 10 volte meno sensibili come dice il professor Ferruccio Bonino, uno dei virologi più esperti, e quindi possono essere utilizzati sui sintomatici.
Infine capitolo mascherine prodotte da Grafica Veneta: ne sono state consegnate alle Province 4,2 milioni, per una copertura dell’85,5% della popolazione. Oggi il resto, ma Zaia esorta farmacie e supermercati a vendere quelle chirurgiche a prezzi accessibili a tutti: «Ora si trovano, noi riceviamo dieci offerte al giorno».
I ricercatori Non sappiamo quanto duri l’immunità e se ci siano 2 ceppi del virus