Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
L’ACCORDO EUROPEO CHE SERVE
Non vogliamo, non possiamo, non dobbiamo nemmeno immaginare che l’eurogruppo prima e il Consiglio europeo poi riconvocati prima di Pasqua non trovino l’accordo per finanziare le attività necessarie a combattere le emergenze europee, sanitaria ed economica, causate dal coronavirus. Un «noi» che non riguarda – ne sono sicuro - solo la maggioranza degli italiani, ma anche quella dei cittadini europei.
Nell’avvicinamento a quella decisione cruciale non aiutano gli irrigidimenti contro gli eurobond della presidente della commissione europea von der Leyen, né il riemergere di voglia di Italexit di Salvini. Ma alla fine una soluzione si troverà. Che l’impegno comune europeo di fronte ad uno choc esogeno che colpisce tutti si manifesti attraverso il Fondo Salva Stati de-condizionato o eurobond irredimibili o eurocoronabond mirati non fa differenza, non olet; l’importante è che, mentre la Banca Centrale Europea continua a comprare debito, l’inevitabile maggior debito pubblico goda di garanzie comuni e che si agisca subito.
Perché il vero pericolo è che l’accordo si trovi, ma su «un troppo poco e troppo tardi» e soprattutto pensando, con questo, che la partita coronavirus sia chiusa. I 2 trilioni di dollari stanziati dagli Usa per la sopravvivenza del sistema americano ci danno una idea della dimensione dello sforzo necessario. L’urgenza, che condiziona l’efficacia dell’intervento, è quella sottolineata dal già celebre articolo di Mario Draghi sul Financial Times del 25 marzo scorso. Se tutto va bene riusciremo a finanziare le spese sanitarie, a garantire il sostentamento di ogni cittadino, senza distinzioni, e a preservare, congelandole, occupazione e capacità produttiva. Ma non deve sfuggire il fatto che questo è solo l’inizio, vale per il periodo di emergenza sanitaria.
A come gestire il periodo di emergenza mista, sanitaria ed economica, fino all’agognata introduzione di cure efficaci o del vaccino, e poi a quello di sola emergenza economica non stiamo ancora pensando. Il tema viene citato da tutti, ma è ancora fuori dal radar operativo dei governi: del nostro di sicuro.
Quando vi ci potremo dedicare ci troveremo di fronte ad una crisi enorme di domanda globale, sia interna sia esterna, ed in più selettiva, perché sarà cambiata la struttura dei consumi dettata dai nuovi stili di vita (meno viaggi, più cinema alla tv, etc.) e perché cambieranno i mercati esteri toccati in tempi e modi diverso dalla crisi.
Allora sì avremo bisogno di uno choc di domanda che può venire solo da un’enorme quantità di investimenti privati e pubblici e, quindi, di enorme debito pubblico. Investimenti privati per adattare l’offerta alla domanda post-coronavirus ed investimenti pubblici per aumentare la produttività e quindi la competitività della «nuova» economia italiana.
Impegni epocali a scadenza non immediata, ma bisognosi, oggi, di immediata riflessione e, domani, di enormi quantità di risorse private e pubbliche. Speriamo che il governo ci pensi e trovi fin d’ora le alleanze necessarie a convincere l’unione Europea a pensieri (e finanziamenti: i veri eurobond) comuni. Per non trovarci drammaticamente impreparati alla bisogna.