Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
«Le vostre tenerezze agli anziani isolati nelle case di riposo»
E la lettera di Marta al papà infermiere
Fuori le notizie sul picco di contagi che sarebbe in arrivo, o che sarebbe già passato. Teorie, statistiche, numeri. Dentro, negli ospedali, i medici e gli infermieri sono ben lontani dal tirare il fiato. A loro arriva la solidarietà dei lettori del Corriere del Veneto, anche dopo le parole della dottoressa Rita Marchi, primaria dell’ospedale di Cittadella trasferita al Covid hospital di Monselice il 13 marzo a coordinare la terapia semintensiva, che è risultata positiva al tampone. Nella sua storia, pubblicata sul nostro giornale, molti hanno rivisto l’abnegazione e la dedizione che stanno dimostrando tanti operatori della Sanità. Da qui è partita l’iniziativa che vuole raccogliere i messaggi rivolti a medici e infermieri, un modo per far arrivare a tutti loro il nostro sostegno.
«Ci vuole professionalità per far fronte all’emergenza e tanto cuore per regalare positività, compagnia, tenerezza ad anziani che da settimane non vedono i figli, i nipoti, i conoscenti. Nella casa di riposo della
Fondazione Marangoni, a Colognola ai Colli c’è questo: c’è cuore, c’è capacità di regalare sorrisi, balli, canzoni. Ci sono emozioni, di quelle belle. E c’è ovviamente professionalità». Scrive Francesca L. di Verona.
Sempre da Verona arriva il ringraziamento di Cristina Casatti, che ha toccato con mano la disponibilità di medici dell’ospedale cittadino: «Ringrazio di cuore il personale del terzo piano Unit Covid di “Borgo Roma” per la gentilezza, assistenza e chiara comunicazione del quadro clinico del paziente». Il pensiero di Dario B. corre invece a medici e infermieri di Dolo: «Un grande
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Un grande abbraccio a tutto il personale infermieristico che con gran senso del dovere e professionalità porta avanti questa battaglia anche per noi
abbraccio a tutto il personale infermieristico che con gran senso del dovere e professionalità porta avanti questa battaglia anche per noi».
Tra i tanti che scrivono a medici e infermieri dei reparti che li hanno curati, c’è anche chi coglie l’opportunità per rivolgersi a persone molto vicine. Come Marta dal Corso, che scrive a suo padre, che di mestiere fa l’infermiere: «La prima volta che lo vidi bardato da sala operatoria non lo riconobbi nemmeno. Nella sua divisa verde, con la cuffia in testa, la mascherina e gli occhiali protettivi non sembrava lui e mi faceva anche un po’ paura. Mi pareva un Power
Rangers anche se un po’ più brutto perché non aveva scelto la divisa fucsia. Poi alzò gli occhiali e abbassò la mascherina quel tanto che bastava per farmi riconoscere un sorriso familiare e quella barba che era solo sua. Il mio papà. Ero piccola ma mi ricordo ancora il rumore gommoso degli zoccoli che calpestavano il pavimento, il fruscio dei camici che svolazzavano dietro passi veloci, i rumori metallici dei macchinari a cui erano collegati i pazienti. E quell’odore, l’odore di disinfettante che ti entra nelle narici e non ti abbandona fino all’uscita».
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Ci vuole professionalità per far fronte all’emergenza e tanto cuore per regalare positività, compagnia anziani che da settimane non vedono i figli e i nipoti