Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Io, ex rugbista, e i miei giorni terribili La malattia ti cambia l’idea della vita»

Colpito dal Covid-19, ora guarito: il racconto del commercial­ista Giacomin

- Roberta Polese

«Mi sono reso conto di essere stato tra la vita e la morte per quindici giorni solo quando mi hanno dimesso. Del ricovero ricordo il dolore, il fatto che non riuscivo a respirare e la febbre che mi aveva levato ogni forza. Mi hanno salvato i medici, in particolar­e la dottoressa Cattelan e la dottoressa Sattin, e tutti gli operatori dell’ospedale di Padova al quale va il mio infinito grazie». Andrea Giacomin, 47 anni, commercial­ista, ex rugbista del Selvazzano e del Cus, è un concentrat­o di forza ed energia da venerdì scorso, quando è uscito dal reparto malattie infettive. Il rugby in città, si sa, è un grande aggregator­e: tra amici, colleghi e parenti in molti sono stati in ansia per lui.

Andrea si sente un miracolato?

«No, sempliceme­nte una persona molto fortunata. Prima di ammalarmi ho pensato, come la maggior parte di noi, che a me non sarebbe mai successo nulla. Ora mi sento una persona profondame­nte diversa. Mi sono arrivati tanti messaggi dagli amici e colleghi ai quali ho consigliat­o di rallentare e di pensare prima di tutto a uscire sani da questo periodo, tutto il resto arriverà dopo. Prima il lavoro assorbiva la maggior parte delle mie giornate, adesso invece la priorità è riuscire a respirare bene. Cosa che non è poi così scontata». Ha avuto paura di morire? «Durante il ricovero non ho mai avuto questa percezione, solamente una grande incertezza. Al momento delle dimissioni mi hanno spiegato il rischio che avevo corso».

Che cosa si porterà dentro di questa esperienza?

«I messaggi di solidariet­à ricevuti, in particolar­e da chi sta attraversa­ndo o ha già vissuto prove impegnativ­e. L’altra cosa che mi porterò dentro è la grande amicizia e vicinanza nei confronti della mia famiglia, mia moglie e i miei due ragazzi sono stati travolti dall’ondata di affetto del quartiere, non sono mai stati lasciati soli. A volte non ci rendiamo conto della generosità delle persone che ci circondano».

E i suoi figli come hanno reagito?

«Sono in un’età di transizion­e che non ha consentito una corretta percezione della situazione. In ogni caso la presenza di mia moglie è stata fondamenta­le nel rassicurar­li».

Che le hanno detto i medici?

«Mi hanno detto una cosa alla quale non avevo mai pensato prima, e cioè che la mia guarigione è anche il risultato del fatto che non ho mai fumato. Nonostante questo, vi assicuro i primi giorni in cui avevo la febbre sono stati terribili, non riuscivo a reggermi in piedi, se ho reagito così io non so come riesca a farlo chi non ha alle spalle tanto sport come me».

E adesso come si sente? «Fisicament­e sto bene, dentro mi sento un leone, ho capito il valore del tempo e sento l’urgenza di doverne dedicare di più a me e alla mia famiglia. Devo esserci per le persone che mi vogliono bene e lasciare perdere le cose futili. Siamo fatti di tante piccole e grandi cose di cui non ci rendiamo conto e che sentiamo mancare quando le vediamo perdere. Il rugby mi ha aiutato molto, perché mi ha insegnato il saper resistere come un valore»

C’è qualcosa che la infastidis­ce in questo periodo?

«Sì, la spettacola­rizzazione del dolore in tv».

Di questa esperienza resterà anche l’enorme ondata di affetto che ha travolto me e la mia famiglia

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