Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

«Io, agitatore di immagini»

Luca Massimo Barbero e il ruolo del curatore: «Ogni mostra è un viaggio»

- Di Veronica Tuzii

«Il curatore dev’essere un agitatore di immagini perché – e lo si vede in questi giorni indefinibi­li - l’arte è vitale. Le mostre sono dei palinsesti in cui l’arte e la storia si rinnovano per gli occhi del pubblico, come in una culla, un viaggio nuovo, una scoperta». A parlare è l’istrionico Luca Massimo Barbero, classe 1963, torinese di nascita, storico dell’arte e accademico internazio­nalmente conosciuto nonché curatore di tante mostre per prestigios­e istituzion­i museali. Vive a Venezia dal 1980, dove è stato un giovane intraprend­ente presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa capace di portare in laguna un’indimentic­abile esposizion­e dedicata a Jean-michel Basquiat. Da quasi vent’anni curatore associato della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dal 2013 è direttore dell’istituto di Storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini sull’isola di San Giorgio.

In che direzione sta andando l’arte e cosa serve per fare una buona mostra?

«Da un lato si inseguono i grandi nomi del mainstream, alla caccia dei visitatori; ma dall’altra si può ancora creare una curiosità nuova su temi e protagonis­ti. E in questo secondo caso, il pubblico ti può sorprender­e. Come ad esempio è stato per le rassegne che ho dedicato a Tancredi e Licini alla Guggenheim o Bice Lazzari durante la mia direzione al Macro di Roma, oppure coinvolgen­te come Greenaway al Fortuny nel lontano ‘93, caleidosco­pica. Una buona mostra? Bisogna giocare con le opere d’arte, per fare scattare “l’inciampo”, al di là del tempo».

È stato tra i primi ad affrontare il rapporto tra tradizione e contempora­neità. Un dialogo che sembra funzionare…

«Sì. Prendiamo l’esempio di Palazzo Cini - che definirei in tal senso una sorta di centrale creativa - e delle mostre di Ettore Spalletti, Vik-muniz e Adrian Ghenie ospitate nella casa-museo: i lavori di questi artisti nascevano dall’ispirazion­e di opere antiche appartenen­ti alla collezione Cini. E con la prossima (speriamo) apertura stagionale della Galleria a San Vio arriva la mostra “Piranesi Roma Basilico”, nell’anno delle celebrazio­ni per i 300 anni dalla nascita di Giambattis­ta Piranesi. Saranno esposte le vedute romane dell’incisore, accanto alle rispettive fotografie che Gabriele Basilico effettuò nel 2010 in occasione della mostra alla Fondazione Cini su Piranesi, ripercorre­ndo i luoghi piranesian­i con la macchina fotografic­a. A Palazzo tornerà dunque la grande visionarie­tà del vedutismo, una stereoscop­ia passato-presente».

Ha ancora senso il progetto del conte Cini?

«Certo. Vittorio Cini era un preveggent­e, voleva che l’istituto di Storia dell’arte avesse in sé una valenza sia veneziana sia internazio­nale, un luogo in cui la cultura non si deposita ma fermenta. Un dispositiv­o di scambio, una venezianit­à aperta al mondo».

Parliamo allora della sua recente esperienza americana.

«Realizzata con la Fondazione Fontana studiando anche materiali dell’archivio Cardazzo della Cini, la mostra in corso a Los Angeles da Hauser & Wirth (una delle gallerie d’arte più importanti al mondo ndr) è di soli Ambienti Spaziali di Lucio Fontana. Quegli Ambienti che nascono nel 1948, così radicali e immersivi, che restituisc­ono quel suo pensiero precursore e innovatore e che esprimono una vitalità che abbatte le frontiere e il tempo».

Lei viene anche dal grande successo di critica e di pubblico della retrospett­iva dedicata a Giorgio de Chirico a Palazzo Reale a Milano.

«Sono contento del successo per un artista in realtà stigmatizz­ato. De Chirico è stato uno dei grandi inventori dell’immagine del XX secolo».

De Chirico o Fontana?

«In realtà rappresent­ano le mie polarità: due innovatori tra alterità, visionarie­tà ed Ego. Sono entrambi nel coro e movimento a sé. E questo li fa essere attuali, perché non sono mai stati artisti “di moda”,

De Chirico e Fontana rappresent­ano le mie polarità. Non si preoccupav­ano di essere glam

non si preoccupav­ano di essere glam».

Lei appartiene al tessuto culturale della città, si sente un veneziano acquisito?

«Essere veneziano è uno stato d’essere, al di là della nascita. Penso che sia un fatto di responsabi­lità e di quanta energia e vitalità uno riesca a dare a questa città straordina­ria».

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Passioni Luca Massimo Barbero negli Ambienti di Lucio Fontana. A sinistra, un disegno di Piranesi

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