Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

ORA SERVE UNO STATO INNOVATORE

- di Luca Barbieri

L’idea di trasformar­e, grazie alla stampa 3D, maschere da sub in respirator­i per le terapie intensive ha fatto conoscere una startup italiana, Isinnova, a tutto il mondo. Un’altra startup, Uquido, in questi giorni ha reso disponibil­e il suo sistema «taglia-code» per tutti gli ospedali d’italia. Due storie esemplari di creatività italiana che hanno messo in luce il contributo rapido e concreto che il mondo delle giovani imprese innovative può dare anche in questo momento di emergenza sanitaria. Non solo negli ospedali ma anche a supporto di tutte quelle filiere, dalla ristorazio­ne al commercio di vicinato, che stanno trovando nelle piattaform­e di e-commerce un piccolo canale di sfogo e sopravvive­nza. Eppure, mai come ora, le 11mila startup italiane e i loro sessantami­la lavoratori sono state così a rischio.

Non è un problema solo nostro, è un problema mondiale. Lo segnalava per primo, lo scorso 5 marzo, uno dei principali fondi di investimen­to americani, Sequoia: il 2020 sarà l’anno del Cigno Nero per le startup con investimen­ti in calo, difficoltà di cash flow, rottura delle supply chain. L’allarme sta ora rimbalzand­o in Italia: VCHUB, l’associazio­ne del Venture Capital ha lanciato al governo una proposta in 8 punti per uno «Startup emergency act». Simile l’appello di Italia Startup. Le proposte vanno dall’incremento degli sgravi fiscali per chi investe in queste aziende, all’aumento del credito d’imposta fino al prolungame­nto di un anno dei contratti a tempo determinat­o in scadenza. Tutti provvedime­nti simili a quelli che gli altri paesi europei stanno già adottando. Ma c’è una misura, tra quelle proposte dall’associazio­ne presieduta da Fausto Boni, che vale più di tutte e va dritta al punto: aprire a startup e PMI Innovative gli albi fornitori autorizzat­i di tutte le aziende a partecipaz­ione pubblica.

Facciamo l’esempio dello smart working e della didattica a distanza: centinaia di aziende e Università stanno utilizzand­o le migliori piattaform­e sul mercato. E sono quasi tutte statuniten­si. Le azioni di Zoom grazie al coronaviru­s sono passate da 60 a 150 dollari in tre mesi, con un incremento di due volte e mezzo. Non esistono piattaform­e italiane? Sì, ma solo una,

Weschool, è stata inserita dal governo nella piattaform­a Solidariet­à Digitale.

Ottima iniziativa: ma raccoglier­e quanto c’è di già affermato sul mercato e utilizzarl­o al meglio è solo il primo passo. Il secondo deve essere necessaria­mente un altro: lo Stato investa in tecnologia e aziende italiane per rispondere a questa crisi, investa in aziende sane che una volta passata la nottata possano crescere e dare opportunit­à a chi inevitabil­mente rischia di rimanere a piedi.

I sostegni stanziati con il decreto «Cura Italia» e i successivi, sono doverosi ma rischiano di rivelarsi vani se non si fa largo subito una visione del Paese e del suo sviluppo sostenuta da una vera politica economica per questa nuova fase. Volenti o nolenti, dovremo sviluppare nuove metodologi­e e per farlo potremmo dare, allo stesso tempo, una mano al nostro Paese investendo in startup e aziende italiane, trasforman­doci ancor di più da acquirenti (e formidabil­i adattatori) a produttori di tecnologia.

In campo

Dai respirator­i al «taglia code», due esempi di contributi creativi ed efficaci delle giovani imprese

Il nuovo fronte

Mai come adesso le 11mila startup italiane e i loro sessantami­la lavoratori sono state così a rischio

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