Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Pizza no, dolci sì: pasticcerie «salve»
Nella giungla di deroghe e divieti, oltre 15 esercizi aperti per l’asporto a Pasqua
La Pasqua al tempo del coronavirus regala anche qualche piccola sorpresa. Da un paio di giorni, infatti, oltre quindici pasticcerie di città e provincia hanno ottenuto il permesso di riaprire parzialmente i battenti per vendere le tradizionali colombe e uova di cioccolato anche d’asporto. Una boccata d’ossigeno («ma sarà comunque una Pasqua stranegativa») nella giungla delle regole (e deroghe) che sta riguardando il commercio: la pizza no, ma i dolci sì.
È proprio il caso di dirlo. La Pasqua al tempo del coronavirus regala anche qualche piccola sorpresa. Da un paio di giorni, infatti, oltre quindici pasticcerie di città e provincia hanno ottenuto il permesso di riaprire parzialmente i battenti per vendere le tradizionali colombe e uova di cioccolato non più soltanto consegnandole a domicilio, ma anche prevedendone il ritiro all’interno del locale. Il via libera al servizio d’asporto, proprio nella settimana che conduce alla domenica pasquale, è arrivato direttamente dal prefetto Renato Franceschelli, che ha appunto interpretato a favore delle pasticcerie il primo dei due allegati al decreto varato dal presidente del consiglio Giuseppe Conte l’11 marzo scorso.
Il decreto in questione, come forse si ricorderà, è quello che ha disposto la chiusura (almeno fino a lunedì prossimo 13 aprile) di tutti i pubblici esercizi e di tutte le attività commerciali, fatta esclusivamente eccezione per i supermercati e i negozi di alimentari. Tanto che, da quel giorno, la maggior parte di bar, pizzerie e ristoranti si è, come già detto, riorganizzata con la consegna a domicilio dei propri menù. E così hanno fatto, pur tra mille difficoltà, anche le stesse pasticcerie. Ma ora si è scoperto che, per alcuni di questi locali, la regola può essere intesa in maniera meno restrittiva. «In pratica - spiega il segretario dell’appe, Filippo Segato - alcuni esercizi possiedono più di un codice Ateco. E quindi, nel nostro caso, una pasticceria che offre pure il servizio di bar e caffetteria, non può ovviamente servire il cappuccino con la brioche al banco, ma invece può tranquillamente vendere per asporto i propri prodotti artigianali, a patto però che siano confezionati».
E allora, nel mezzo di quest’autentica giungla normativa, avanti tutta con colombe e uova. La prima ad aprire il varco, lunedì scorso, è stata la centenaria pasticceria Graziati di piazza dei Frutti (dopo aver subìto un provvedimento, durato poco, di chiusura da parte dei vigili urbani). E nei giorni successivi, tra le altre, si sono aggiunte Le Sablon di via Reni, Alfio di via Induno, La Piazzetta di via Facciolati, Guariento di via Guizza, San Marco di via Genovesi, Dolci Tentazioni di via Montà, La Creme di via
Aspetti, Milanese di Piove di Sacco, Dalla Bona di Montegrotto, Embasy di Ponte San Nicolò, Angelo di Selvazzano ed Estense di via Forcellini. «Finalmente - sospira la titolare di quest’ultima, Federica Luni - una piccola boccata d’ossigeno. I clienti più affezionati ci avevano già contattato per la consegna a domicilio.
E adesso contiamo di attirarne altri, nella speranza che non abbiano già fatto il pieno di colombe e uova al supermercato. Detto questo, comunque, sarà una Pasqua stra-negativa, con un calo di fatturato, rispetto all’anno passato, che supererà l’80%».
Resta, però, ancora un nodo da sciogliere. Per quale motivo, infatti, le pasticcerie possono vendere per asporto e, tanto per fare un esempio, le pizzerie invece no? «Perché la pizza viene considerata un prodotto fresco - precisa nuovamente Segato dell’appe - E dunque, almeno per il momento, ne è prevista soltanto la consegna a domicilio. Siamo chiaramente di fronte a due pesi e due misure e il governo dovrebbe quanto prima provvedere a sanare questa difformità». E intanto l’assessore cittadino al Commercio, Antonio Bressa, sembra già guardare al futuro: «Mi auguro che, dal 14 aprile in poi, le restrizioni in vigore ormai da quasi un mese possano essere un po’ allentate a vantaggio anche di altre attività, senza evidentemente correre il rischio di abbassare la guardia e di non tenere in considerazione, prima di ogni altra cosa, la tutela della salute e della sicurezza di tutti. Lavoratori e clienti».