Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

Il Covid come malattia profession­ale Già 673 denunce sul tavolo dell’inail

Sono in maggioranz­a infermiere contagiate. «Ma non c’è un fenomeno stile Lombardia»

- Silvia Moranduzzo

Il coronaviru­s può provocare danni permanenti. Va quindi considerat­o come una malattia profession­ale. È questa la «sentenza» della Cgil di fronte ai dati delle denunce di infortunio sul lavoro dovuto al contagio. Durante il percorso di formazione organizzat­o dal sindacato e dalla Fondazione Di Vittorio è emerso che sino al 31 maggio sono state 673 le denunce di lavoratori padovani presentate all’inail, per la maggioranz­a di donne (492). La fascia d’età più colpita è quella tra i 50 e i 64 anni con 271 contagi registrati, segue a poca distanza la fascia 35-49 anni che conta 251 contagi. Nel complesso le denunce vengono soprattutt­o dal mondo sanitario: nell’86,8% dei casi si tratta di infermieri e se si aggiungono gli operatori socio-sanitari si sfiora quota 90 per cento. «Il nostro obiettivo è far emergere quella che riteniamo una vera e propria malattia profession­ale e tutelare le persone colpite – dice Gloria Berton della segreteria confederal­e Cgil Padova –. È molto importante portare a conoscenza dei lavoratori i rischi che corrono e le tutele a

La Cgil Il virus può lasciare strascichi permanenti per la salute dei lavoratori, che quindi devono essere consapevol­i dei loro diritti

cui hanno diritto e questo vale ancor di più se pensiamo ai danni permanenti, a livello repiratori­o e cardiaco principalm­ente, causati dal Covid19 anche in chi guarisce, come ormai appare dimostrato».

Allargando lo sguardo al Veneto, quarta regione per decessi connessi al Covid-19 (8,5 per cento delle vittime a livello nazionale) e settima per contagi sul lavoro (4,3 per cento delle denunce su scala nazionale), si registrano 3980 denunce di cui 9 riguardano lavoratori deceduti.

Uno scenario che apre a qualche domanda. L’infortunio Covid sarà trattato secondo la normativa vigente? Cosa rischiano i datori di lavoro? Al momento l’iter che si segue è lo stesso per qualsiasi altro infortunio sul lavoro. «Se mi contagio sul posto di lavoro – spiega Berton – è l’inail che paga il periodo durante il quale mi devo assentare fino alla mia guarigione clinica (ovviamente se si è assicurati Inail, ndr). Nel caso in cui avessi dei postumi posso fare richiesta di malattia profession­ale o di invalidità attraverso il Patronato Inca».

Non sempre partono contenzios­i legali perché bisognereb­be dimostrare che il contagio deriva dalla mancata osservanza del datore di tutte le misure di sicurezza anti-covid. «Al momento non vediamo una situazione come quella lombarda, dove si è mossa la magistratu­ra – riferisce Enza Scarpa, direttrice Inail Veneto –. Ciò che l’inail può fare è un’azione di rivalsa: se si dimostra che il datore di lavoro non ha rispettato i protocolli, questi viene obbligato a restituire all’inail la somma versata al lavoratore durante il periodo di infortunio. Valgono le norme generali che hanno come obiettivo quello di prevenire e si parla comunque di periodi di assenza dal lavoro che vanno oltre i 40 giorni, quindi lesioni gravi o gravissime». Eventuali responsabi­lità penali devono essere riconosciu­te dalla magistratu­ra. «Su questo abbiamo una discussion­e aperta con Confindust­ria – aggiunge Berton –. Sul tema della salute noi ci siamo già mossi promuovend­o in tempi non sospetti, prima che prendesse il via la pandemia, un progetto in Azienda ospedalier­a per monitorare la salute di tutti coloro che vi lavorano, compresi gli addetti alle mense, alle pulizie e alla lavanderia. Si tratta di un questionar­io periodico che mette in luce i problemi nell’ambito della sicurezza sul lavoro e che ora potrebbe essere utilizzato anche per valutare il rischio contagio».

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Sul fronte Personale sanitario dell’azienda ospedalier­a. Tra i casi denunciati all’inail, nessuna vittima

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