Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)

SE IL VENETO NON È PIÙ LUOGO

- Di Gigi Copiello

Deserto può essere una metafora: un’immagine per rendere un’idea. Ma è anche il deserto lasciato nelle città del Veneto dalla fine delle direzioni dei servizi. Un esempio (e non sarà il solo): fu battezzata «area d’oro», doveva essere il nuovo centro di Vicenza «fuori le mura», lì è stato costruito anche il nuovo teatro. Il tutto perché: era la sede della Direzione della Banca Popolare di Vicenza. C’era persino un cospicuo parcheggio multipiano. Che oggi è chiuso, mentre dalle finestre di quella che fu la Popolare sono distesi striscioni con scritto «vendesi» e «affittasi». Da che mondo è mondo, sono i servizi a fare le città. E’ la nuova torre di Unicredit che ha dato il via a piazza Gae Aulenti, alla rinascita di Porta nuova ed al rilancio di Milano. Sarà così anche dopo il Covid? Cambierà qualcosa? Non certo per il Veneto, dove i giochi son fatti e c’è più nulla da fare. Non a Verona, dove immaginava­no la cittadella della finanza; non a Treviso, dove la cittadella l’han fatta, ma dicono ora che era meglio non farla; non a Padova, che cerca «padroni» per gli spazi (vuoti) dell’ex Fiera. Ma il Covid ha accelerato un’altra tendenza. Chi studia le trasformaz­ioni nella distribuzi­one spiega che, a causa di Internet, i negozi si stanno prosciugan­do, dal basso in alto. E così si chiude più nei paesi che nelle città, più a Vicenza che a Verona, più a Verona che a Milano. E torna la parola deserto, in tutta la sua realtà: piazze di paesi ormai deserte di negozi, vie di città in abbandono, tante vetrine che non apriranno.

Certo: le fabbriche, gli ombrelloni e le vigne rimangono qui. A «far schei». Ma il territorio dov’é? Forse vien buona per noi la metafora dell’antropolog­o Marc Augé: il Non luogo. Per dire che ormai i rapporti tra le persone si consumano nei posti di transito, dove ci si trova per caso e quasi per sbaglio. Venezia, per esempio: dove tutto ruota attorno alla stazione ferroviari­a di Mestre e all’aereoporto di Tessera, mentre in città non c’è quasi anima viva, ma solo passanti. Ma pure a Schio la «movida» si fa in una qualsiasi periferia, a cavallo tra città e zona industrial­e. Questo il Veneto 2020, ma anche 2030 e 40. Là dove c’era una Banca, ora c’è l’erba. Dove si poteva riorganizz­are, unire, qualificar­e: niente si è fatto. E niente è rimasto. Rimangono le fabbriche, gli ombrelloni e le vigne. Con qualche nuova clinica privata, dove si fanno solo analisi e visite. Rimangono le fabbriche, ma attenzione: una grande fabbrica aveva qui il suo polo di creativi giovani, svegli, «fighi». E ben pagati. Ha dovuto rincorrerl­i e migrare a Milano. Qui, non è luogo. Per finire, lo ammetto: ho perso. Abbiamo perso. Tante persone hanno pensato e lavorato per decenni attorno all’idea di un Veneto ancorato a forti centri di innovazion­e e direzione. Alla Patreve, con tutti i suoi contorni e dintorni. Ma le nostre son rimaste «ciacole» e gli altri hanno «buttato» tutte le direzioni dei servizi. Così ci ritroviamo a servizio. A servizio di Milano, Bologna e Monaco, la loro periferia, incasinata per giunta. Siamo rimasti al vapore. Alla locomotiva, ma a vapore, come ha detto il presidente di Confindust­ra Veneto Carraro. Ma vedo che va bene lo stesso, che le nostre classi dirigenti continuano come prima, si fanno i compliment­i e danno lezioni a tutti. Come si dice, «contenti voi, contenti tutti».

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy