Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Morfina al bebè condannata l’infermiera
L’accusa: ha provocato un’overdose perché piangeva troppo. Lei: sono a pezzi
L’accusa era pesante. Aver «provocato un’overdose da morfina» a un neonato «che piangeva troppo. Per questo ieri l’infermiera Federica Vecchini (in foto) è stata condannata a tre anni e mezzo.
Dovrà scontare tre anni e sei mesi di reclusione per aver «provocato un’overdose da morfina con arresto respiratorio» a un neonato «particolarmente rognoso» e che piangeva troppo. Federica Vecchini, una delle due infermiere in servizio la sera del 19 marzo 2017, quando il piccolo Tommaso rischiò la vita nel reparto di Terapia intensiva neonatale di Borgo Roma, è stata condannata poco dopo le 16 di ieri dal giudice Alessia Silvi, a Verona, per lesioni aggravate dalla «somministrazione di sostanze venefiche con un dosaggio idoneo a mettere a rischio la sopravvivenza del bimbo».
A carico della 46enne imputata di Nogara,i cui difensori Massimo Martini e Stefano Zanini hanno subito annunciato che impugneranno la sentenza in appello, è stato inoltre disposto in via provvisionale un risarcimento danni complessivamente pari a 20 mila euro a favore del bambino, che venne salvato in extremis da un’intossicazione da narcotici, e dei suoi genitori. Il giudice ha invece stabilito che da parte dell’azienda ospedaliera universitaria di Verona, chiamata in causa al processo in veste di responsabile civile e tutelata dal legale Filippo Vicentini, non dovrà essere versata alcuna somma a titolo risarcitorio. Il verdetto arriva tre anni dopo l’arresto di Vecchini,
Il processo
Il pm: «L’errore umano va escluso». La difesa: «Non ci sono certezze»
che finì in carcere il 2 agosto 2017, ed è destinato a lasciare il segno. In attesa di conoscerne tra 60 giorni le motivazioni, è già evidente che l’impianto accusatorio ha retto. E non era scontato, visto che la «prova regina» non è mai stata trovata. Lo ha riconosciuto lo stesso pm Elvira Vitulli durante la requisitoria con cui chiedeva la condanna dell’imputata a 7 anni di reclusione: «Questo è un caso senza precedenti e su cui non esiste giurisprudenza. E’ stato un processo indiziario, ma tutti gli indizi portano all’imputata Vecchini, che aveva in uso la morfina prescritta dai medici per un’altra bambina e che quella sera è stata vista con Tommaso in braccio, nonostante il piccolo fosse assegnato a un’altra collega, Elisa De Grandis».
Secondo il pm, «l’errore umano va escluso: per calmare il bimbo avrebbe potuto usare un altro tipo di benzodiazepine, non certo la morfina. La gravità del fatto sta proprio nell’uso di quella sostanza, in grado di mettere a rischio la vita di un neonato». Una ricostruzione, quella accusatoria, fatta propria dalla parte civile che per i genitori del piccolo, a cui «è stato diagnosticato un disturbo da stress post traumatico», ha quantificato in 230 mila euro totali i «danni morali subìti». Stando alla difesa invece «in questa vicenda non ci sono certezze e neppure le perizie e il processo hanno fugato i dubbi, che restano ancora tali. La collega De Grandis non è attendibile e non lo sono le testimoni che parlano di altri casi sospetti che avrebbero visto implicata la Vecchini. L’imputata è sempre stata una brava e stimata infermiera, che mai avrebbe posto a repentaglio la salute dei bambini». «Sono a pezzi — dice l’infermiera — non ho la forza di reagire e neanche di pensare. E non so come tornare a casa e dire ai miei figli che la loro mamma è innocente ma è stata condannata come se fosse colpevole. Ho sempre detto la verità e cioè che non sono stata io a dare la morfina al bambino. Non avrei mai fatto del male a lui e a nessuno dei piccoli che ogni giorno assistevo. Io amo il mio lavoro, è tutta la mia vita e mi manca molto».