Corriere del Veneto (Padova e Rovigo)
Tra i turisti in fila all’usl «Ci sembra di tornare ai mesi più brutti del Covid»
Il rientro e il tampone, tra paure e racconti di regole ignorate
«Ho paura. Molta paura». Talmente tanta che accetta di parlare, ma a una condizione: «Dovete garantirmi l’anonimato». Anzi, due: «Datemi un minuto, che fare il tampone è qualcosa di terribile». Ilaria (nome di fantasia, come promesso) è tornata da meno di 24 ore dall’agognata vacanza dopo le fatiche universitarie, ed è solo una delle tante persone che anche nella mattinata di ieri hanno affollato il punto di raccolta di via Temanza a Padova, uno dei cinque allestiti dall’ulss 6 (in aggiunta all’ospedale Giustinianeo) per i viaggiatori di ritorno dalle loro ferie in Croazia, Grecia, Malta o Spagna.
Poco più che ventenne, la ragazza arriva all’arcella accompagnata dal padre e racconta con voce tremante: «Ero a Corfù con i miei amici, e le persone con la mascherina le contavi sulle dita di una mano. Noi la indossavamo sempre nonostante il caldo, e forse anche per questo venivamo additati come appestati. Poi, appena capivano che eravamo italiani, ci trattavano come untori: abbiamo passato mesi a sperare che sarebbe andato tutto bene e che saremmo diventati migliori, e invece la gente è più cattiva di prima». Ma la paura a cosa è dovuta? «All’esito del tampone: io so di non aver sgarrato, ma finché non mi diranno
”
La studentessa in coda
Io so di non aver sgarrato, ma finché non mi diranno che sono negativa sarò più in ansia che per un esame
A Corfù le mascherine erano una rarità
che sono “negativa” sarò in ansia più che per un esame».
La sua storia si intreccia con quelle degli altri turisti di ritorno, tutti accomunati a lei non solo dai tamponi ma anche dal desiderio di rimanere «senza volto»: si va dalla famiglia tornata dal weekend trascorso in una Parenzo «irriconoscibile perché semivuota» alla ragazza arrivata ieri da Barcellona e che si professa «tranquilla perché là c’è l’obbligo di indossare la mascherina anche all’aperto, e tutti lo rispettano». Passando per il trentenne appena giunto da un tour delle isole greche, e a cui bastano dieci minuti per completare l’iter che parte dall’autodichiarazione e termina col tampone: «Niente da dire sull’efficienza, ma tra il doppio tendone bianco nel cortile e gli addetti bardati da capo a piedi ho provato la bruttissima sensazione di essere improvvisamente tornato indietro di quasi sei mesi».
Arriva quindi il turno della coppia di sessantenni appena tornata da Lussino, con la moglie che prima invoca i tamponi «anche per i ragazzi incoscienti che sono andati a ballare in discoteca a Jesolo» e poi solleva un problema non di poco conto: «Alla frontiera con la Croazia al ritorno non siamo stati minieuganea mamente controllati». La conferma arriva da Carlo, unico a confidarci almeno il nome di battesimo: «Sono rientrato in Italia in pullman, e al confine hanno chiesto solo i documenti a tutti i passeggeri lasciandoci poi ripartire tranquillamente». Prima di sfrecciare via in monopattino Carlo aggiunge: «Ero a Rijeka, in Croazia, e a parte me nessuno indossava la mascherina o manteneva il distanziamento sociale. Sembrava di vivere in un universo parallelo: era surreale, come se nulla fosse successo in questi mesi». Proprio dalla penisola croata proviene il 79% dei 917 turisti a cui è stato fatto il tampone ieri tra i cinque punti di raccolta del Padovano e l’ospedale Giustinianeo, seguiti da Spagna, Grecia e Malta rispettivamente con 12%, 7,8% e 1,2%: stando al dato aggiornato alle 10.30 di ieri il numero dei positivi riscontrati nei primi due giorni e mezzo di controlli era di 16 su 2.437. Ovvero meno dell’1%. Sale invece a quota 4.464 il numero dei casi totali nel Padovano. Tra i nuovi positivi, anche uno nel cluster di Vo’, il primo in assoluto. Dodici, infine, le persone ricoverate all’ospedale di Padova, ma quelle in terapia intensiva scendono a due (compresa la bimba di 5 anni di cui vi riferiamo a pagina 5).